Qualche anno fa, a qualcuno è venuta l'idea di spruzzare della polvere di cacao nel cappuccino. Come se il cappuccino così com'era non bastasse più. L'idea si è diffusa rapidamente. Dopo poco tempo, quando abbiamo ordinato un cappuccino, il barista ha cominciato a chiederci: un po' di cacao?, con una specie di saliera obesa in mano, già in posizione, e bastava un cenno di assenso per vedere ruotare l'angolazione di pochissimo e una spruzzata di cacao sarebbe piovuta sulla schiuma del nostro cappuccino.
Io ho sempre risposto: no, grazie. Mi piaceva il cappuccino così com'era (mi bastava, appunto). Ma è evidente che siamo stati in pochi a dire no, visto che questa storia della spruzzata di cacao è dilagata come un'epidemia veritginosa. A tal punto che è diventata un automatismo. Se vai in un bar e chiedi il cappuccino, te lo fanno e ti spruzzano il cacao dentro. Senza più chiedertelo. Sei tu che devi dire che lo vuoi senza cacao.
In poco tempo, l'evoluzione della polvere di cacao nel cappuccino è stata la seguente: prima lo mettevano; poi hanno cominciato a chiederti se potevano metterla; adesso devi essere tu a dire che non la vuoi. Sei costretto a stare in allerta fin dal primo momento, a non parlare più con nessuno fino a quando il cappuccino non sia stato servito senza cacao, come richiesto - altrimenti vale la legge del silenzio-assenso. Non puoi più fare colazione un po' assonnato, perché ti ritrovi la polvere di cacao nel cappuccino.
Quando accade, me lo faccio sostituire; ma non basta. Mi innervosisco, la giornata parte male; mi viene una tensione muscolare dovuta al sopruso che fatico a sciogliere nelle ore successive. Chiedo con aria truce se per caso avevo chiesto il cacao, perché non mi sembrava di averlo chiesto.
E vorrei dire: siete andati troppo in fretta, non tenete conto di chi fa qualche resistenza. Non tenete conto di me.
Francesco Piccolo, La separazione del maschio.
Nessun commento:
Posta un commento