giovedì 31 dicembre 2009

44 gatti in fila per 6 col resto di 2

Le persone si dividono in persone pari e persone dispari. Le persone dispari sono quelle che stanno bene ovunque ma non appartengono a nessun luogo, le persone pari sono quelle che girano sempre in due; o in quattro; o via dicendo sulla scala del duepiùdue.
Ogni stato evidentemenet ha i suoi vantaggi e le sue pecche. Che quando c'è da decidere cosa fare per le vacanze, la persona dispari decide sempre prima. Al momento di pagare la cena, la persona dispari risparmia. La persona pari invece ha la meglio in circostanze tipo i lunghi viaggi in macchina, che si alterna alla guida col suo due; nelle camere d'albergo, che comunque si paga il letto a due piazze e se sei due risparmi (e ti diverti pure di più). La persona pari risparmia anche sulle bollette, checché se ne dica: perché quando la luce è accesa in una stanza e ne usufruiscono in due, la quota che ciascuno paga diminuisce.
Io, inutile spiegare i motivi, sono una persona dispari. Con chiunque mi accompagno, difficilmente siamo in due. E per restare fedele al mio stato dispari, aspetterò l'arrivo del nuovo anno (2010, numero pari.....le coincidenze) cenando con i miei amichetti cari.
Saremo in undici, a tavola.
L'undicesimo, sono io.

mercoledì 30 dicembre 2009

Buon anno

Alle cose che verranno, e ai sogni soltanto sognati.
Alle lacrime che piangerò, e alle mani che mi prenderanno.
Buon anno al sole di giugno e al profumo di settembre, al mare d'inverno, alla terra bagnata.
Alle mie bic blu, ai fogli bianchi, agli sms che scriverò. Alle mie chiavi nuove, a chi crede in me e a chi tradirò.
Buon anno ai biglietti aerei che comprerò, alle valigie che porterò con me. Buon anno ai giornali, alla musica, alle torte appena sfornate. Ai bambini che nasceranno, agli amori che si perderanno.
Buon anno a tutto quanto non so immaginare del nuovo anno.
Alla parte migliore dentro ai giorni peggiori. Alle lenzuola profumate di pelle. Alle porte chiuse, a tutti i no.
Buon anno al buio, ai regali da scartare, ai chilometri da attraversare.
Buon anno a Dio e a tutte le volte che non c'è.
Alla rabbia trattenuta, alla rabbia urlata, alle guerre che non vogliono finire. Al nero dei soldi e al bianco della polvere che uccide. A chi soffrirà da solo, che almeno un giorno del nuovo anno sia buono al cuore. Buon anno alla speranza e alla disperazione, al dolore forte e alla gioia leggera.
Buon anno a tutti i libri che verranno scritti, ai libri comperati e non letti, ai libri prestati e a quelli perduti. A tutto ciò che vedo quando chiudo gli occhi, a ciò che non vorrei vedere quando il apro.
Alle parole notturne e ai silenzi affollati.
Buon anno ai visi che incontrerò e ai contorni che si perdono già nel tempo.
Buon anno a chi non so amare, e a chi amo tanto da non saperlo dire.

giovedì 24 dicembre 2009

O sole mio

Dunque, è la Vigilia di Natale. C'è il sole e 25 gradi di temperatura.
Io credo che invece di essere tutti più buoni, dovremmo riflettere un momento. Solo un momento, che dentro casa mia volano le mosche. E non è normale. Gingle bells.

Ed un giornale aperto sulla pagina dei film

Io devo imparare a difendermi.
Che oggi si parlava del giornale on line, e dei giornali di carta. E qualcuno diceva che è meglio scrivere su un giornale cartaceo, perché lo leggono più persone. Io ci credo fermamente che non è così, e ci ho provato a motivare il mio punto di vista. Mi sono sentita una specie di cacca, però.
Ne ho molto di lavoro da fare.

Rimmel

Le cose è difficile quando le devi metter via. Il trucco, per esempio: poco o tanto che ne hai usato, arriva la sera che torni stanca e assonnata e devi levarlo. E costa fatica, levarlo.
A metterlo su invece sono bastati pochi minuti.
Se ci sono altre attinenze fra il rimmel e gli uomini, al momento mi sfugge.

mercoledì 23 dicembre 2009

O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai

Ora si sa che bisogna essere più buoni. L'hanno inventato per questo, il Natale. Anche per farti ingrassare, ma quest'ultimo è un dettaglio meno importante rispetto al vento di fratellanza che soffia in ogni cuore. Io sarà che sono anticonformista, ma in questi giorni qua di vacanza mi sento più cattiva invece. Mi sembra che i miei difetti emergano con più evidenza. Sono più arrabbiata del solito, più intollerante del solito. Forse pure più acida.
Io a Natale sono cattiva e invidiosa.
Che penso a quelle persone che hanno le cose che a me mancano.
Ci penso e, se potessi, gliele prenderei.
Ma non ditelo a Babbo Natale, potrebbe restarci male.

sabato 19 dicembre 2009

Sempre e per sempre

Amore è quando tutto sembra compiuto. Non ha bisogno d'altro, il mondo.
Gli occhi vedono in profondità, la pelle diventa fremito al tocco di labbra di cui desidero ogni profumo.
Amore è restare in silenzio fra le tue braccia e sentire che questo è il destino.

venerdì 18 dicembre 2009

Oh mia bella Madunina

Quando ti incazzi con qualcuno di brutto, ti viene da dirgli robe del tipo ti spacco la faccia.
Ora da qui a spaccarla per davvero la faccia, il passo dovrebbe essere quantomeno ponderato; a noi però non è dato sapere quanti squilibrati comprino souvenir di monumenti per le città d'Italia. Magari ce ne sono tanti. Che sono poi così carine quelle miniature del colosseo, del duomo, della torreiffel. Se dunque lo squilibrato compra il souvenir e pensa di spaccarla per davvero la faccia, questa cosa non è bella.
Noi qua nel Bel Paese siamo bravissismi a fare di ogni cosa un carnevale.
Ciò detto, però, secondo me ci sono delle frasi che magari ha già detto qualcuno di famoso e che si dovrebbe esser cauti nel ripeterle; onestà vuole che almeno si citi la fonte, quando alle frasi celebri si può attingere senza urtare la suscettibilità. Per alcune frasi celebri, infatti, secondo me si dovrebbe proprio evitare la citazione. Tipo per esempio La mia sofferenza non è stata inutile. Questo l'ha già detto Gesù Cristo. Abbiate pazienza.

mercoledì 16 dicembre 2009

Pronto, buongiorno è la sveglia

Io non trovo necessario perforare i muri alle otto di mattina. Ecco.

sabato 12 dicembre 2009

Parole, parole, parole

Quanti mondi si possono attraversare, con le parole.
Si può vivere la vita di un altro, nascondersi o svelarsi. Una parola può farti volare, sciogliere in acqua le difese, creare legami. La stessa parola può colpire, tradirti, ferire, distruggere.
E' un viaggio verso uno spazio in cui ogni anima è fragile perché è scoperta, e non c'è altro se non quel suono. Solco di inchiostro su bianche vite.
C'è una sola condizione perché tutto questo accada: devi fidarti, delle parole. Totalmente, completamente, ininterrottamente.
Questo è il mio peccato di ingenuità.
Io bimba stanca, donna incosciente.

Cerco l'estate tutto l'anno

Giusto poco fa si parlava del freddo e del caldo, delle stagioni insomma. A me piace d'inverno camminare all'aria aperta, il freddo ti entra dentro l'anima e ti lava i pensieri. Intanto in casa lasci i termosifoni accesi a 30 gradi e quando torni, dopo questa passeggiata effervescente, ti si appannano i vetri degli occhiali. Sono soddisfazioni.

giovedì 10 dicembre 2009

Vengo dopo il TG

C'era una volta l'informazione televisiva. Adesso non c'è più. Quando io dico di essere uscita con una maglia rossa e tu rispondi di avermi vista con una maglia nera, non si può capire chi di noi due mente. Magari mentiamo entrambi. Ecco, questa è l'Italia oggi. E la verità diventa sempre più vaga. Probabilmente sono uscita senza maglia.

mercoledì 9 dicembre 2009

Pane e coraggio

Sarà anche vero che per fare grandi cammini bisogna iniziare dal primo passo; romanticherie del tipo "c'è più fra zero e uno che fra uno e cento".
Orbene, pare che la rubrichetta stia andando bene, che già alcune persone gli è venuto il desiderio che io scriva per loro.
Solo per il gusto della precisione, che io alle volte sono pignola: scrivere a me mi piace assai, e di per sé mi basterebbe ad essere felice.
Ho però altre esigenze, necessità, ho anche dei vizi se proprio devo confessare. Per esempio, io uso molto il cellulare. Compro un sacco di libri, che non leggo mai libri prestati. Compro pure cd, ma di meno rispetto ai libri. Poi viaggio. Tutte cose che....si, si potrebbe fare a meno. Per risparmiare. Però io mangio pure. Accendo la luce quando è buio, i termosifoni quando è freddo, la lavatrice per fare il bucato. Queste cose costano. Giusto per il gusto della precisione.

martedì 8 dicembre 2009

Carta d'identità

Io mi piace scrivere, e forse ci riesco a scrivere cose piacevoli.
Magari so fare anche la mediatrice.
Per il resto....ecco, forse è meglio se resto a casa a scrivere.


venerdì 27 novembre 2009

Ci vorrebbe un amico per dimenticare tutto il male

Oggi l'amica mia canterina mi ha detto una cosa che le ha detto una sua amica.
Le cose dette perché te le hanno dette o sono pettegolezzi o sono massime di vita.
L'amica mia canterina ha detto che una sua amica dice: Sono disposta a tutto pur di ridere.
Ecco, io questa frase qua la trovo meravigliosa. E ne farò la mia massima di vita, da oggi in poi.

giovedì 26 novembre 2009

Al di qua del muro

Ci sono gli scrittori, e ci sono gli insegnanti di lettere.
Ci sono i creativi, e ci sono i critici.
La divisione è netta: i primi scrivono, creano; i secondi leggono e studiano.
Critca viene dal greco Krino. Cambiare per crescere. E per questo ogni critica è positiva. Però, se resti solo al di là del muro, la tua capacità di far cambiare per crescere si atrofizza e si trasforma in un asettico tentativo di imbrigliare tutto nella rete delle tue categorie concettuali.
E la fantasia, l'arte, si sa: non le puoi imprigionare. Ti sfuggiranno sempre.
Ieri ho visto questo scrittore
Può piacere. Non piacere. Poco importa. La cosa importante è che sto tizio si siede davanti a un foglio bianco e scrive. Inventa. Crea.
Nello stesso luogo in cui ho visto il suddetto scrittore (diciamo il peccato ma non citiamo i peccatori) c'erano dei docenti di letteratura dell'Università (che non linko, ci mancherebbe pure!).
Il creativo in questione ha parlato del suo libro, caricando di emotività il racconto con le note di Vivaldi; il collegamento era: io ho scritto cercando l'emozione che ha fatto nascere queste composizioni.
Dopo ci sono state le domande. Una docente ha esordito con "sarò breve", che tradotto dall'italiano accademico all'italiano corrente significa parlerò quindici minuti di fila. Un preambolo barocco, complicato e trabordante di citazioni accademiche, per chiedere quali sono stati i riferimenti letterari del romanzo.
Lo scrittore ha risposto da creativo. Nessuno, ha detto. Che non sarà vero, naturalemnte, ma ha fatto contrasto netto con l'erudizione pedante esibita da lei.
Ci sono gli scrittori, e ci sono gli insegnanti di lettere.
Ci sono i creativi, e ci sono i critici.

Il lavoro dei primi ti fa sognare, emozionare e diveritre. Il lavoro dei secondi può ammazzare ogni emozione.
Io, perdonatemi, ma vorrei tanto stare al di qua del muro.

martedì 24 novembre 2009

La sposa aspetta un figlio e lui lo sa

Dunque, Maria Stella aspetta un bambino. Che è una cosa meravigliosa. Beta lei, davvero. Auguri. Sii felice.
Maria Stella, però, la maternità le ha procurato un impeto di dedizione al lavoro e, secondo me, di malcelato piglio da maestrina. Della serie guardate me quanto sono virtuosa. Che io, ci vado fino all'ultimo giorno di gravidanza al lavoro.
Cara, io immagino che quando una donna aspetta un figlio il mondo le sembri tutto un paradiso di fiori, e allora i problemi e le difficoltà come per magia si dissolvono nell'aura tenera della maternità. Ragion per cui, se permetti, ti rammento qualche cosina. Non per turbarti nel momento più bello della tua vita, ci mancherebbe. Solo per farti capire cosa facciamo noi altre, quaggiù sulla terra.
Purissima Ministra della Pubblica Istruzione, Specchio Immacolato di Virtù, se avessi il lavoro che hai tu ci andrei pure io al lavoro fino all'ultimo giorno di gravidanza. Anzi, ci partorirei proprio sugli scranni del Parlamento. Insomma, diciamocelo chiaro, tu guadagni diecimila euro al mese e non fai una beata minchia.
Hai solo firmato un decreto che, quando noi altri ti abbiamo chiesto quali erano le norme per affrontare gli esiti della tua riforma, tu nemmeno lo sapevi. Cioè, non ti sei nemmeno sprecata a leggere qualcosa sull'ordinamento scolastico. O a ragionare, che ne so, su quei problemini di logica che ti fanno fare a scuola del tipo se Pierino perde la busta della spesa poi a casa che cosa mangiano. Roba elementare, che non ti sforza molto. Roba che se dovevi firmare una riforma almeno impiegavi mezza giornata a ragionarci un po' su. Tu invece no. Niente.
Secondo me non ti sforzi molto, abbi pazienza.
E a quel prezzo, poi....non offenderti: ma secondo me non stai facendo nulla di eccezionalmente virtuoso. Restare seduta a non far nulla a diecimila euro al mese....grazie, anche io.
Anzi, la vuoi sapere un'altra cosa?
Se tu non ci avessi tagliato i posti di lavoro, lo avrei fatto pure io un figlio. E ci sarei andata pure io a scuola fino all'ultimo giorno. Anche se io, per 1200 euro (capito? non 10.000, no: 1200) devo tenere calma un'orda barbarica di trenta alunni, minimo, che mo hai aumentato le classi quindi il mio mestiere si risolve solo in una specie di domatore da circo zitti buoni calmi seduti vi metto la nota. Anche in quelle condizioni, io ci sarei andata lo stesso a scuola. Volente o nolente. Del resto, la riforma Brunetta se ti assenti ti manda le SS che ti chiudono nel campo di concentramento, hai poco da scegliere.
Invece tu, Ancora di Salvezza per le nuove generazioni, Modello di dedizione alla causa, hai tagliato 42.000 cattedre. E oggi (vorrei solo suggerirtelo, senza turbarti troppo però) ammesso che metà di quei 42.000 sono maschi, ammesso che metà hanno già fatto un figlio, restano almeno 10.000 donne che, al contrario di te, un figlio non lo possono fare.
Certo, la vita non è uguale per tutti. Ci sono i privilegiati e gli sventurati. Ma almeno, che i privilegiati non salgano sulla cattedra a dire agli altri come comportarsi.
Sulla cattedra....ops, ho usato una metafora poco appropriata.
Auguri, Maria Stella. Ogni felicità.

domenica 22 novembre 2009

Giro giro tondo

Ho una palla rossa con le stelle colorate. E' il mio gioco preferito. Mi piace guardarla, tenerla in mano, lanciarla: quando rotola, con le stelline colorate, sembrano i fuochi d'artificio. Sono un po' gelosa della mia palla rossa, e ci lascio giocare soltanto gli amici più amici, quegli altri bambini che quando la palla rotola sanno vederci i fuochi d'artificio, come me.
Lui l'ho incontrato nel parco, e mi ha chiesto di giocare insieme. Si vedeva subito che era un bambino buono, gli ho detto si ma non lo sapevo all'inizio se gli avrei dato la palla rossa. Abbiamo giocato con il suo camioncino, a nascondino, siamo andati insieme sullo scivolo e mi ha spinto sull'altalena. Allora mi sono fidata e un giorno, senza neanche pensarci prima, ho portato con me la mia palla. Ci siamo divertiti, non mi sono pentita di averlo fatto giocare con la palla rossa.
Poi lui ha iniziato a fare i capricci. Io sono una bambina che i grandi me lo dicono che ho dei problemi, ma non lo faccio apposta ad avere i problemi. I grandi hanno sempre ragione, sarà stato per quello che lui ha fatto i capricci. Però a me non mi piace litigare con gli altri bambini, perché mi viene da piangere. Allora ho preso la mia palla rossa con le stelle colorate e sono venuta via dal parco. Adesso i fuochi d'artificio, sulal palla rossa, li guardo da sola.

venerdì 20 novembre 2009

Ho visto Nina volare

Ci sono cose che crediamo perfette. Regolari. Finite. Rassicuranti. Direi che sono le cose lucide, sulla cui superficie ti puoi riflettere. Spesso queste cose lucide sono delle persone, che scelgono di vivere indossando gli abiti della perfezione, della regolarità, della finitezza, della rassicurazione. Quella superficie lucida non può nascondere scabrosità. E le persone lucide hanno raggiunto il loro ideale di perfezione e sono paghe di restare lì, in vetrina, a brillare di lucentezza. Ma poi arrivi tu, ti avvicini, provi a rifletterti sulla superficie lucida e vedi tutt’altro. Sporco, buio, fango, polvere e miasmi. Quando Nina inizia a volare, ogni certezza cade. Gli oggetti lucidi si frantumano. Le persone precipitano nell’abisso della loro stessa anima che non conoscevano, o non volevano conoscere per paura di trovarvi qualcosa di diverso da ciò che hanno cercato di realizzare per un’intera vita, adeguandosi alle aspettative della società, dimenticando di essere fatte di carne e sangue.

Perché accade questo? Dove ho sbagliato? Si tormenta lo Svedese, il protagonista di questo meraviglioso romanzo di Philip Roth.

Lo sbaglio stava nel credere che il mondo fosse lucido. Invece c’è la rabbia, dietro alla perfezione. Perché la perfezione non esiste. È illusione fredda e paralizzante.

Lo Svedese voleva restare un oggetto lucido. Sua figlia ha scelto di volare. Leggendo questo libro, possiamo provare a decidere anche noi da che parte stare.

Un libro che ti dà una nuova conoscenza del mondo, come dicono i critici quando vogliono fare una recensione positiva a un’opera. Una storia che ti avvince dalla prima pagina, dico io. E che ti insegna a volare.

Philip Roth, Pastorale americana, Einaudi


Buona lettura


Le faremo sapere noi


Se sei un laureato italiano e hai fra i 25 e i 35 anni, conosci esattamente il significato di queste parole. “Non ti richiameremo mai più”, vuol dire. E dopo la fatica, non priva di un po’ di umiliazione, di portare il tuo curriculum ovunque… non è una bella cosa da sentirsi dire. Quando eravamo piccolini e siamo andati a scuola per la prima volta, abbiamo tacitamente imparato che avremmo posseduto una ricchezza – l’istruzione, il titolo di studio, il sapere – che ci avrebbe dato un posto nel mondo. Invece…

Invece Amelie conosce due lingue, perfettamente perché è belga e ha vissuto in Giappone. Si presenta alla Yumimoto, che è una multinazionale di quelle definite un colosso. E finisce a fare la guardiana dei cessi. Perché, invece, la sua istruzione, le sue competenze, la sua ambizione, non servono a nessuno. Anzi. Minacciano il perfetto ordine giapponese del lavoro e della società.

Di questo libro si è detto che è un racconto sul diverso, sulla difficoltà di vivere secondo parametri che non ci appartengono. Io non giudico molto appropriata questa recensione. Si, certo: è anche questo. Ma è il racconto di tutti noi, della nostra lotta alla sopravvivenza nel magico mondo del lavoro. Non giapponese, no. Italiano. Italianissimo.

Ed è un racconto estremamente piacevole, in cento pagine che ti scivolano addosso come acqua fresca. Ironiche, divertenti. Del resto, una che porta sti cappelli, non può che essere ironica, se non è folle. O forse è entrambe le cose.

Amélie Nothomb, Stupore e tremori, Voland

Buona lettura

venerdì 13 novembre 2009

On the road

Dite ai camionisti, per favore, che se guidano incollati alla striscia di mezzeria, noialtri povere automobiline non possiamo sorpassare mai.
Dite a quanti posseggono il Suv che per loro è severamente vietato guidare ad una velocità inferiore ai 110 km orari, che se no producono lo stesso effetto di una montagna ferma sulla strada.
Diteglielo voi, che io se scendo dalla mia macchina finisce che faccio a botte.

martedì 10 novembre 2009

Sulla strada a camminare

Se c'è una cosa che mi piace proprio, sono le persone di cultura medio bassa quando si accostano, con timore reverenziale e ardimentoso coraggio, alla lingua italiana. Loro lo sanno di non sapere tutto - a differenza di molti saccenti di cultura medio alta, che la lingua italiana la ignorano comunque, però non lo sanno. O fanno finta, di non saperlo. O lo sanno, e non gliene importa nulla.
Le persone che invece non hanno studiato le usano con rispetto, le parole; ed è una cosa meravigliosa. Dovremmo averlo tutti, sto rispetto. Oltre al rispetto, alle volte hanno pure abbastanza coraggio da ardire la scalata verso la vetta del linguaggio forbito. In questo caso si aprono orizzonti infiniti di divertimento.
Che stamattina camminavo a piedi lungo una strada di una cittadina di montagna; dunque una strada irta, che piega a gomito. Una di quelle strade che in Salento non esistono, per intenderci. Su questa strada si era rotto un tombino, e camminando mi sono imbattuta in un gruppo di operai addetti, i quali armeggiavano con pale, secchi, calce. Ho cercato di mantenermi il più possibile stretta al bordo, posando i piedi sui tratti meno fangosi; ero tutta concentrata in questa operazione di scansamento acque fognarie, quando uno dei suddetti operai ha ritenuto opportuno avvisarmi che il resto della strada era interdetto al passaggio anche pedonale. Lo ha fatto rivolgendomi questa domanda: "dovete trapassare"?
Devo aver assunto un'espressione quantomeno sgometa, perché l'operaio premuroso ha subito aggiunto: "no perché la strada sopra è interrotta".
Certo: passare + sopra = trapassare.
Io dovevo fermarmi prima, per mia fortuna. Tutti prima o poi dobbiamo trapassare, ma non era mia intenziona farlo proprio stamattina, il trapasso.


lunedì 9 novembre 2009

Quanti anni hai stasera

Non so voi, ma nel mio calabro paese la gente nutre un bisogno quasi maniacale di sapere i fatti tuoi. Quindi, chi ti incontra non sfugge alla preziosa opportunità di attingere direttamente alla fonte, e ti chiede. Ma qualunque cosa, ti chiede. Senza esclusione di colpi.
Sicché questa sera ero in giro con la mamma, si doveva comperare una moka; dunque ci siamo recate dal caffettieraio, che se ne stava tutto lieto nel suo meraviglioso negozio con la moglie. In questo negozio del mio paese, la gente ci va principalmente per fare le liste di nozze. Con me l'hanno ormai capito che non ne fanno, liste di nozze - ma l'hanno capito solo dopo avermelo chiesto per quindici anni, che ogni coltello o bicchiere che dovevo comperare mi svegliavo la notte prima al suono delle loro voci che domandavano, assetate di sangue "vi dovete sposare?" -
Ora le domande sono altre. Le quali, tuttavia, denotano scarsa percezione del tempo da parte del suddetto caffettieraio e della sua leggiadra signora. Perché, se per quindici anni hai creduto che mi dovessi sposare, o supponevi mi sposassi a tre anni, oppure adesso tanto pulzella non sono più. Osservazione che è mancata, ai caffettierai. Dopo che la mamma e io abbiamo scelto sta moka, infatti, mentre il marito faceva scontrini e pacchi, la moglie ha assunto questa serafica espressione da donna che sta per domandare, si è riempita i polmoni di fiato, e ha proferito la seguente richiesta: - devi andare all'università? -
A quel punto io sono stata felice. La signora mi aveva appena tolto dieci anni; anche qualcosa in più, a voler essere matematici. Ed è stata forse la prima volta che sono stata lieta di rispondere agli interrogatori delle dame inquirenti nel paesello mio che sta sulla collina.
Successivamente, cioè dopo aver acquistato la moka dell'eterna giovinezza, bisognava rinnovare la tessera ACI (femmina che guida, sono io!) e il rinnovo si fa presso l'autoscuola dove ho preso la patente. Quando ci andavo, quindi, avevo più o meno l'età che mi aveva attribuito la caffettieraia, che sono circa dieci anni meno di adesso - qualcosa in più di dieci anni, sempre a voler essere matematici.
La scuola guida, com'è naturale, brulicava di giovani automobilisti che stavano lì per patentarsi, tutti freschi freschi. Io però mi sentivo ganza, pensando che cavolo, non li dimostro mica tutti sti anni più di voi, 'a pischellini! Stavo lì ad attendere pazientemente il mio turno, trastullandomi sulla vanagloria dell'eterna gioventù, quando si avvicina il tizio che mi ha dato la patente. Viene verso di me con enfasi, richiamando l'attenzione di tutti.
- Ma sei proprio tu! Sono molto felice di vederti! Beh, ne è passato di tempo da quando hai preso la patente...quanto, dieci anni? -
Addio sogni di gloria. Quando sono uscita mi sono specchiata nella vetrina col timore di ritrovarmi tutti i capelli bianchi, improvvisamente. Che passa in fretta il tempo.

Quell'unico antico maledetto muro

Vent'anni dalla caduta del muro di Berlino. Fine della guerra fredda, fine del regime comunista, inzio dell'amicizia fra le due potenze. A sentirli oggi - Bruno Vespa in testa splendidamente avvolto in un cappotto scuro con sciarpa annodata attorno al collo che fa tanto Silvio - sembra che vent'anni fa siano iniziate contemporaneamente tutte le "magnifiche sorti e progressive".
Perché a me viene in mente la canzone di Fossati?
Sarà che l'anima della gente non ha imparato a dire ancora un solo sì. Credo che ce l'abbiamo ancora intatto nella testa quel maledetto muro.

mercoledì 4 novembre 2009

Nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento

Ora io non vorrei fare la parte di quella che ripete sempre prima era meglio. Che l'età ce l'ho e il rischio di trasformarmi in vecchia zitella nostalgica dei tempi passati è alto.
Però ci sono alcune cosa che veramente prima erano meglio.
Prendiamo la cartaigienica, per esempio.
Quella - non voglio fare pubblicità occulta - sponsorizzata dal piccolo labrador. A dire il vero questa scelta di marketing a me non mi ha mai convinta: cioè, l'associazione cane/deiezione mi turba, sinceramente. Ma diciamo che il prodotto lo trovo di qualità. Orbene, il rotolo di quella cartaigienica lì un tempo era lungo, resistente e morbido. Caratteristiche, queste ultime due, fondamentali perché il suddetto prodotto svolga al meglio la sua specifica funzione: una carta dura è sgradevole, non parliamo di una carta poco resistente! No, non si possono modificare morbidezza e resistenza.
Fino a poco tempo fa, però - ecco la vecchia zitella che si inacidisce - i rotoli del labrador erano anche lunghi. Che comperavi un pacco e stavi tranquilla. Adesso sono tutti buco. E non mi riferisco a quello scurrile, che sono una signora, io: la quantità di carta arrotolata attorno al perno è sempre meno. Settimana dopo settimana, i pacchi che compri si assottigliano. E lo consumi troppo velocemente, adesso, un rotolo.
La cartaigienica sta diventando una voce di spesa pesante, nel bilancio mensile.
Poi, dopo aver fatto ste riflessioni qua, capisci proprio che c'è, la crisi. Altroché.

lunedì 2 novembre 2009

Ottimismo

L'amichetta mia dice che svolteremo.
Adesso io credo che la svolta migliore sia quella di prendere tutto con leggerezza.

sabato 31 ottobre 2009

L'eternità

Quello che ci frega è il tempo.
Alcune parole sono del tutto cadute in disuso, come per sempre. Che appena senti pronunciare questo avverbio parte una vocina dentro di te e la senti ribattere si, va beh.
Giuro di esserti fedele sempre. Ma tanto lo sai che c'è il divorzio. Compri una casa, e già pensi al valore della casa quando la rivendi. I mobili li scegli all'Ikea, e li cambi se poi decidi di tingerti i capelli di rosso e allora non sono più adeguati gli arredi verdi. Che mica è per sempre, il colore dei capelli.
Non parliamo del lavoro, quello è flessibile ormai per antonomasia. Siamo bravissimi noi a fare il medico, il mese successivo lavoriamo nel marketing (il che vorrà dire distribuire volantini, ma tant'è) per poi improvvisarci consulenti e baby sitter nel fine settimana. Quante cose sappiamo fare. Va da sè che niente di questo è per sempre, se tutto è contemporaneamente. Il che può avere pure il suo fascino: la continua ridefinizione di sé ti salva dall'appiattimento della ripetitività.
I problemi però iniziano quando tu del tuo tempo devi rendere conto a qualcun altro. Lì è proprio difficile perché non sai mai che risposte dare.
Allora hai un lavoro per un anno, per esempio; presumibilmente quel lavoro sarà in un'altra città rispetto a quelle dove vivono i tuoi familiari - anche se essi fossero sparsi per il mondo, il tuo lavoro di un anno sarebbe comunque in un'altra città. E lì nasce l'intoppo del tempo, perché il proprietario delle case in affitto è l'unico che crede ancora al per sempre.
"Quanto tempo resti?" ti chiede.
Naturalmente tu non ne hai la minima idea. Il lavoro per un anno potrebbe durarne tre, ma potrebbe improvvisamente sparire il mese prossimo. Fra le cose che ti tengono in bilico, poi, ci potrebbe pure essere che durante questo lavoro di un anno trovi un compagno. Al che al tuo tempo incontrollabile dovrai aggiungere il suo.
Preferisci non pensarci, abbassi gli occhi in umile e precaria frustrazione, e rispondi al proprietario di casa "non lo so".
Poi non alzi gli occhi, meglio evitare di vedere la sua faccia trasformarsi in quella di un orco famelico con i denti aguzzi tesi sulle tue tenere e bianche carni da vittima sacrificale.
"Però mi devi comunicare quando vai via almeno sei mesi prima".
Sei mesi sono un tempo infinito. Non lo potrai mai sapere sei mesi prima dove sarai sei mesi dopo.
Allora forse conviene comperarla una casa. Certo... comperare una casa per un anno potrebbe non essere la soluzione ottimale, ma comunque niente è per sempre e poi la posso rivendere. I mobili sono quelli dell'Ikea che li smonto e li metto in valigia. E non è un problema.
Se mi sono trovata un compagno... lo lascerò. Perché tra le poche certezze della vita ci sta quella che tu e il tuo compagno non lavorerete mai nello stesso posto.
E se per caso, in questo anno, concepisco un figlio?
Beh, quello... se proprio non so come fare, posso sempre mangiarmelo.
E vissero per sempre felici e contenti.

domenica 25 ottobre 2009

Leggero senza andata né ritorno, senza destinazione

Ci sono alcune situazioni che sembrano capovolgere le leggi del mondo. Come quando viaggi su un aereo. Senti l’assenza di gravità sotto i tuoi piedi,e il fatto di stare più in alto delle nuvole crea una specie di spazio leggero dove ogni cosa perde i suoi contorni netti e diventa soffice. Vedere la tua città dall’oblò, poi, è un’esperienza mistica. Distinguere i quartieri, le strade, vedere i tetti delle case e le auto simili a formichine colorate, il tutto racchiuso in un unico colpo d’occhio, dici caspita, quanto siamo insignificanti.
Insomma, relativizzi.
Se la mia città è quella macchia colorata laggiù, che mi volto dall’altro lato e già è sparita, cosa mai vuoi che siano tutti i miei problemi?
E le nostre lotte.
Leggero, è tutto più leggero se per un momento smetti di obbedire alle regole del mondo. È come acquistare un nuovo punto di vista. Il punto di vista di Dio, che ci guarda dalle nuvole e, compiacendosi per quanto gli è riuscita bella la terra, secondo me si fa anche un sacco di risate con noi che ci affrettiamo a correre da un lato all’altro di questo piccolo mondo e non ci pensiamo mai, a come siamo insignificanti visti da lassù.
Quando sto su un aereo vorrei non dover scendere, perché a guardare il mondo dall’alto riesco a non pensare. Le cose non mi fanno più male, sono piccole.
Senonché la poltrona accanto alla mia è di una signora di colore. Ha la corporatura tipica della gente del sudafrica: alta, robusta, spalle larghe e mani grandi. Io sto seduta in mezzo fra l’oblo con la sua leggerezza e questa signora, grande. Lei indossa un completo pantaloni beige,e le pieghe della casacca disegnano le ampie curve dei suoi fianchi e i seni larghi. Ha posato la borsa sulle gambe, ma ad un tratto deve prendere qualcosa che sta lì dentro e inizia a muoversi. Vedo con la coda dell’occhio le sue ginocchia rotonde riempire tutto lo spazio antistante la poltrona (quello in cui si deve riporre il bagaglio a mano, signora hostess). Si muove così tanto che potrebbe provocare una turbolenza.
Allacciate le cinture, stiamo attraversando una corrente d’aria.
No, è questa signora qua, che l’ha trovato, quello che cercava nella gigantesca borsa, ma per prenderlo mi pianta una gomitata nelle costole che quasi ci rimango secca.
Mi volto con sguardo malinconico verso il finestrino, cerco le nuvole sotto e tutte quelle sensazioni di prima. Oh, il mio triste destino! Sempre stretta fra il peso delle cose e la leggerezza dei desideri.
Adesso la mastodontica viaggiatrice ha deciso di leggere un quotidiano, e apre questo foglio sconfinato davanti a sé. Il mio spazio vitale è sempre di meno, potrei soffocare. Perché quando deve voltare le pagine, mi arrivano le sue lunghe dita quasi in faccia. Se mi colpisce, non sopravvivo. Non volendo mi cadono gli occhi sull’articolo che sta leggendo (no che non volevo sbirciare, ma ho il suo giornale praticamente sotto il naso): parla di un omicidio, una docente di sociologia è stata uccisa nel suo appartamento da un ex allievo. Pesante. Tutto pesante!
E io che volevo fare l’esperienza mistica di distacco dal mondo… qua, se l’aereo non si sbriga ad atterrare, finisce che precipitiamo per il troppo peso.
La signora si è sciolta i capelli, e adesso i suoi fitti ricci neri arrivano fin dentro la cappelliera.
E se i pensieri con cui mi trituro il cervello mi avessero reso simile a questa donna così pesante dentro all’aereo così leggero?
Meditate gente, meditate.

venerdì 23 ottobre 2009

Cuore di cane

Io non lo so che sapore ha l'appartenenza. Quando dentro di te non c'è un cuore fedele, sei estraneo in ogni casa e guardi a occhi spalancati cieli che non conosci perché senti ovunque il soffio di orizzonti lontani ma tuoi. Camminare le vie degli altri è come scoprire un nuovo modo di essre chi sei.

Cicogna ubriaca

Non si dovrebbe bere, prima di guidare. Non si dovrebbe perché accade poi di distrarsi: i riflessi sono rallentati, le reazioni attutite. C'è pure la campagna pubblicitaria, su questo fatto qua di non guidare ubriachi.
La mia cicogna doveva essere una che invece se ne fregava, avrà sicuramente alzato troppo il gomito (o magari le cicogne non ce l'hanno, il gomito) e quindi eccola lì, barcollante come il tavolino dell'ikea mentre svolazzava col suo fagottino. Non se la sarà certamente ricordata, la destinazione.
E adesso a me tocca passare la vita cercando di rimediare al suo errore: dov'è, che sarei dovuta nascere?

mercoledì 14 ottobre 2009

Fratelli d'Italia l'Italia s'è desta

Io sono generalmente una sospesa "tra voglie alternate di andare e restare". Il viaggio che, come dicono i Baci perugina, è la vera meta della vita a me piace molto. E quando sei in viaggio guardi quello che trovi lontano pensando a ciò che hai lasciato a casa; la ricchezza del viaggio è l'unione dei due orizzonti. Radici piantate nella terra e rami protesi verso il cielo.
Domani lascio l'Italia per un po'; non sarò troppo lontana e non abbastanza a lungo per sentire la mancanza del Bel Paese. Da qualche tempo, però, i viaggi all'estero sono un'esperienza triste. Triste è vedere quanto bene si sta negli altri Paesi, e quanto piccolo invece sta diventando il nostro...
Fratelli d'Italia, prima di partire io ve lo dico: ridatecela, l'Italia. Mi rivolgo a voi, che ve la siete presa. Io rivoglio indietro la Patria a cui un cittadino dovrebbe essere fiero di appartenere, non l'Italia che te ne ricordi solo quando ascolti l'inno suonato alle partire di calcio o alla formula uno; che pure quelle ci avete rubato, a pensarci bene. Io rivoglio il mio Paese onesto, quello dove fai una gara e vince il migliore, non chi ha pagato di più. L'Italia bella del mare azzurro e pulito, non la pattumiera di veleni e navi affondate dai vostri soldi. L'Italia in cui le donne erano "tanto gentili e tanto oneste", senza veline né escort. Io rivoglio la speranza che sia ancora possibile costruire un futuro lavorando col sudore delle proprie mani, senza essere schiavi sospesi al decreto del momento. Rivoglio indietro il Paese in cui era bello mettere al mondo dei figli e potevi immaginare per loro un mondo migliore, non la platea ignorante e conformista in cui ci volete trasformare. Rivoglio l'Italia in cui la Sicilia è l'isola più bella, senza ponti di cemento e mafia. Rivoglio l'Italia della cultura, non sopporto più di sentire i giornalisti dire eccocosaèuscitoieridalconsigliodeiministri.
Dove l'avete messa, la nostra Italia?
Non è vostra, ridatecela indietro.

martedì 13 ottobre 2009

Tu che sei parte di me

Quelli che studiano le cose della tecnologia lo sanno: l'uso del computer causerà una mutazione del nostro patrimonio genetico. Tipo che i nostri figli nasceranno col cervello predisposto ad eseguire le azioni digitando l'apposito link. Io forse questa mutazione genetica già ce l'ho, dal momento che prima c'era una mosca leggiadra sullo schermo del mio pc. Perché la mosca è ancora viva con dieci gradi, lo ignoro. Ma la mutazione genetica no, perché io quella mosca lì ho provato a scacciarla col cursore. Cioè muovendo il mouse.

lunedì 12 ottobre 2009

Specchio, specchio delle mie brame

Ieri sera con gli amichetti si parlava del feisbuc. Come ogni fenomeno rilevante ha sempre fatto nel consesso degli umani, il feisbuc divide gli animi. E gli animi umani sono notoriamente divisi in conservatori e progressisti. Quelli che guardano all'evento con scetticismo, timore mascherato da disinteresse, condanna all'abbruttimento cui siamo destinati se parliamo con un computer. I progressisiti hanno le loro brave ragioni contrarie: che è un modo di incrementare relazioni, che puoi usarlo senza esserne schiavo, che ti permette di comunicare e informarti in tempo reale.
A me piace, il feisbuc, devo dirlo.
Sarà che sono curiosa e laggiù mi diverto, sarà che oramai il fenomeno Chuck Norris mi ha innamorata; ma anche la mia passione civile trova posto nel feisbuc, nell'adesione ad alcuni gruppi impegnati, quali: Spieghiamo alle zanzare che ad ottobre si muore.
Insomma, ci passo ogni giorno dalla pagina bianca e blu. Quello che dovrebbe essere analizzato, però, è che io sul feisbuc c'ho due profili. Uno col quale sono visibile al mondo più l'alter ego.
Ora sta cosa qua alle volte mi ha pure un po' preoccupata. Fino a ieri sera, che ho scoperto non essere l'unica dissociata ad avere due identità feisbuc. E adesso sono pienamente felice

Chiedi alle stelle

Quando tutto intorno sembra girare più velocemente e non c'è terra sotto i tuoi piedi né stelle sulla tua testa per darti la direzione da seguire, allora devi stringere più forte le cose importanti.
I tesori che il bambino che sei nasconde nella sua scatola dei segreti.
Una biglia di vetro, la musica, la penna bic con cui hai scritto il compito della maturità, il sapore della birra bevuta con la tua amica, il rumore del mare, il profumo del caffè al mattino, la costanza delle risate e il coraggio di ricominciare.

domenica 11 ottobre 2009

La uno, la due o la traeee?

Allora io non sono brava a prendere le decisioni. Questo è proprio uno dei miei difetti. Vado di cuore, alle volte, e quelle sono le volte in cui sbaglio perché il cuore si sa, è matto matto da legare. Come asserisce la celebre canzone. Altre volte, per evitare errori, mi fermo a riflettere prima di decidere. Il guaio è che in questi frangenti non so mai riconoscere il momento giusto per smettere di riflettere. Sicché quando cerco di decidere con la testa poi è peggio. Adesso per esempio non so proprio che busta aprire.

venerdì 9 ottobre 2009

Donne tu du du in cerca di guai

Quando le donne stavano zitte e buone a casa, quando si occupavano solo di cucinare, preparare conserve e lavorare la lana per i mutandoni dei loro uomini (che dovevano poi essere molto sexi nell'intimità dell'alcova), allora molti guai non c'erano.
Per esempio, se l'uomo voleva fare sesso a pagamento poi non si doveva preoccupare mica che quella là se ne andava a raccontare i fatti in giro. No, tanto la donna stava zitta e buona. Oggi invece le femmine hanno strane idee in testa. Alcune hanno addirittura la sfrontatezza di non curare a sufficienza il loro aspetto fisico, e l'uomo se le ritrova brutte davanti che pure l'interrompono mentre parla, l'uomo. Inaudito. Cosa può fare poi lui, abituato a certe sane tradizioni? Si trova costretto ad offenderle, ma mica è un'offesa! E' solo una legittima osservazione tesa a ristabilire l'ordine e ripristinare i valori.
Cioè, tu devi stare zitta e buona. E devi essere bella.
Ma queste nuove amazzoni, ossignore che ardire!, le ritrovi anche a fare mestieri creati apposta per gli uomini. Talmente apposta che il femminile neppure esiste, per sti mestieri qua. L'avvocato, per esempio. La donna in cerca di guai, invece di restare a lavorare la maglia per i mutandoni, che ha fatto? Si è laureata, in giurisprudenza! Mavalà (altra esclamazione propriamente maschile, tipica del llinguaggio giuridico). Si è laureata in giurisprudenza sicché, mentre tu uomo di sani principi te la immagini seduta al focolare con le trecce avvolte attorno alla nuca, lei invece sta là, in tribunale. Povero mondo, non ci si capisce davvero più nulla.
Per fortuna la lingua italiana è una ricchezza solida e non corrosa dai tempi malsani di oggi. Almeno quella donna in cerca di guai, quando scrive i documenti giuridici, dovrà così esprimersi: "IL SOTTOSCRITTO AVV. STELLA ROSSI, ESSENDOSI RECATO IN TRIBUNALE... ecc ecc".
Così, mentre l'uomo legge, gli sembrerà tutto normale e rassicurante, d'impatto sarà portato a credere che a scrivere sia un uomo. Il sottoscritto. E che diamine, un po' di disciplina!

mercoledì 7 ottobre 2009

Soddisfazioni

Oggi mi ha scritto una tipa dalla Biblioteca Nazionale di Firenze; prima di aprire la mail ho creduto fosse una di quelle robe di pubblicità o di annunci fenomenali del concorso che cambierà la tua vita. Invece era una mail seria, chiedevano i dati anagrafici per catalogare il mio libro.
E io sono stata felice.

martedì 6 ottobre 2009

Buonanotte, buonanotte fiorellino

L'ho portata accanto agli scogli, col mare sotto e la luna lucida e bianca che profuma di grano. Volevo sentire il grano misto al profumo della sua pelle, e l'ho stretta, era un unico abbraccio: il mare, il grano e questa donna che dice di essere mia.
Dubito del suo amore. Forse perché lei è troppo giovane, o forse per questo nodo che mi stringe il cuore e lo copre fino quasi a togliermi il respiro.
Passerà, domani. Però adesso stringe.
- Guarda il profilo della luna - mi dice lei. La sento muoversi nel mio abbraccio, mette gli occhi nei miei, mi bacia. - E' quasi trasparente, sembra ci si possa guardare dentro e scoprire tutti i segreti del mondo. - Io alzo gli occhi al cielo di notte. C'è quel maledetto nodo che mi soffoca dentro. Vorrei urlare per sciogliere il fiato e poi guardare dentro alla luna.
Ma non ho voce.
Il profilo del suo corpo si fa trasparente. Mi bacia di nuovo, parla, guarda la luna.
Diventa più trasparente. Non la vedo più, se n'è andata insieme a questa notte.
Chissà se è triste, adesso, che io non abbia visto quel chiarore insieme a lei.

sabato 3 ottobre 2009

Vengo anch'io, no tu no

In natura accade che un uomo e una donna concepiscano un figlio. Nel linguaggio accade che mia moglie aspetta un figlio. Se il figlio lo aspettassero in due, non accadrebbe poi che io ho aiutato mia moglie a crescere il bambino.

To be or not to be

Io leggo.
Perché mi piace.
E scrivo.
Perché così mi sento meno sola

Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore

Ora io sono qui, in una specie di simposio letterario. Una tavola rotonda. Una writer's facotry. Chiamalo come vuoi, è un agriturismo; piove, piove grigio e le pozzanghere riflesse di vento sono poco salentine. Ci sono gli scrittori, e parlano della letteratura in rete. Gli scrittori sono quelli che tu non lo sai che faccia hanno. Sono famosi solo per il nome, sicché puoi trovarti in un agriturismo pieno di scirttori e non saper associare la faccia al nome. A meno che non si tratti, per esempio, di Dacia Maraini, ma lì la questione è inversa. Che tutti conoscono la faccia però nessuno ha letto i libri. Insomma, questa è un'altra questione. Prendiamo invece Giorgio Vasta. Puoi averlo visto fotografato in bianco e nero sulla quarta di copertina, ma non te lo ricordi che faccia ha. Però quando si siede al tavolo sto tipo, il suo raccontare è magico. Tono di voce basso e caldo, sguardo penetrante, portamento enigmatico. Ti cattura, ti affascina.
Non è da questi particolari che si giudica un giocatore. No. Però lui prima di ripartire si è avvicinato al banco dei libri. E ne ha comperati due.
Ecco, questo si è un particolare importante. Ma molto, io penso.

venerdì 2 ottobre 2009

Quello che le donne non dicono

Che abbiamo un cervello, oltre alla figa. E che questo cervello è al momento abbastanza indignato.

martedì 29 settembre 2009

La prima classe costa mille lire

Quando ti sposi e sei molto felice, per suggellare la tua perfetta unione c'è una sola cosa da fare: la crociera. Ci sono due tipologie diverse di crociera:
TIPO A: viaggio organizzato su rotte navali, che si effettua a bordo di apposite imbarcazioni.
TIPO B: prima volta nella vita che percorri un tragitto diverso dalla strada che congiunge casa dei tuoi genitori e casa dei tuoi suoceri.
Va da sé che la crociera di tipo B è la più pericolosa, sotto tutti i punti di vista.
Se fino alla crociera di tipo B non eri mai uscito dal paesello, il primo ad aver paura degli inimmaginabili rischi che si annidano nella nave sei proprio tu. Che non sapresti ben dire se poi in realtà sei contento, di sto viaggio. La seconda è tua moglie (la crociera di tipo B è sempre l'apostrofo rosa fra le parole T'AMO; la maggior parte delle volte è un viaggio di nozze).
Amici e parenti restano al paesello a schiattare di invidia; non sarà questo il motivo per cui si sceglie una crociera di tipo B? Da accertare. E quindi anche loro sono turbati da questa meravigliosa avventura sui mari.
Ma colei che secondo me ha più paura in assoluto è la tipa dell'agenzia di viaggi. Quella che stava tranquillamente seduta alla sua scrivania quando ha visto entrare la coppia; lei li ha riconosciuti subito, gli innamorati della corciera di tipo B, e un brivido gelido di panico le ha attraversato la schiena. Dovrà rispondere alle domande più impensabili, spiegare con cura che il costo della crociera non comprende il trasporto dal paesello al luogo di imbarco, consolare la delusione dei piccioncini quando dirà loro che no, il bagno in mare non si può fare durante la navigazione, però la nave è provvista di ampia piscina con vista (le piscine sono sempre ampie con vista, ma i nostri futuri vacanzieri non possono saperlo).
Io fossi al suo posto, della malcapitata signorina dell'agenzia,mi arrischierei a far notare alla sposa come il pantalone aderente verde non si accompagni bene con le scarpe rosa a tacco alto, in nessun caso.
No, mi hai chiesto tu consigli di viaggio, mica per altro.

Tu sei un ragazzo pulito, hai le orecchie piene di sapone

L'altra sera ci siamo incontrati; è stato casuale, succede sempre così.
Come stai, mi ha chiesto.
Se rispondere bene è solo una banalità posso provare a raccontargli di come per me sia difficile restare in bilico su questo filo sospeso in alto sopra i tetti.
Ma si ha una visuale privilegiata, sostiene. Riesci a scorgere cose che la gente comune, là sotto, non vede e neppure immagina, mentre tu puoi capire tutto.
Io non riesco mai a capire tutto, provo a obiettare.
Ti succede perché devi osservare meglio. E' saccente, forse anche un po' superbo lui. E' un ragazzo pulito. Resta in alto sui tetti e giudica la vita sotto, ben lontana dal suo filo. Sa esattamente da che parte sta il bene e da che parte il male.
Non credo nelle demarcazioni troppo nette, provo ancora ad argomentare. Mi accorgo che lui non mi sente, è già distratto dallo spettacolo laggiù.
E dalle sue orecchie guardo evaporare le bolle di sapone. Si liberano verso il cielo, su su su. Poi scoppiano lasciando solo un vago profumo di pulito nell'aria fresca di settembre.

sabato 26 settembre 2009

the winner is...

Da un paio di giorni succedono cose eclatanti, talmente straordinarie che anche i fenomeni atmosferici si sentono coinvolti e nella mia terraccia calabra non smette di piovere... ma non voglio parlare di slavine e allagamenti: è un'altra storia questa, magari scriviamo una lettera ai grandi della terra e ci facciamo raccontare qualcosa su questo tetto di immissioni che vogliono alzare a abbassare e allora potremmo chiamarlo soppalco delle immissioni; un tetto, si sa, quando lo rendi troppo mobile poi ti frana in testa.
Torniamo alle cose eclatanti.
E' uscito un nuovo giornale. Indipendente. Giornale di fatti, che evoca Montanelli e Biagi e sul quale scrive un tipetto niente male con degli occhi verdi che mo ve lo dico,a me piace parecchio.
E' proprio bello, il gironale intendo. Fa il tutto esaurito nelle edicole già alle 9 del mattino: ecco la prima cosa eclatante. Molti di noi - fra questi tanti solo per curiosità, ammettiamo pure - stanno riscoprendo il sapore della parola scritta che profuma di carta. Compri un giornale e lo porti con te, ti ritagli del tempo di silenzio. E leggi.
Poi, seconda cosa eclatante, quello che leggi è bello. Ancora (perdonatemi l'eccessivo romanticismo). Non sono notizie buttate lì con una mano sulla tastiera del pc e l'occhio all'orologio che devi fare in fretta e scrivi proprio le prime cose che ti passano per la mente. No. Quelli che scrivono sono nomi che ti viene di sistemarti i capelli prima di leggere.
Periodi lunghi ma scorrevoli, subordinate - non erano decedute allora le subordinate - incastonate nel periodo come pietre levigate, virgole al posto giusto dove proprio ti aspetti una virgola, e i punti fermi... spettacolari. Ti inchiodano nella lettura e ti costringono a dire qui mi fermo e rifletto, oppure prendo fiato dopo la notizia agghiacciante che mi hai dato. Ma soprattutto parole belle. Colte. Inconsuete. Parole che circondi con un cerchio di penna e poi apri il vocabolario per cercare il significato preciso. Meraviglioso! Cosicché quando termini la lettura hai addirittura imparato meglio la tua lingua.
E allora io, se avessi qualche potere a questo mondo, al Fatto Quotidiano assegnerei un premio. Non so, il premio nobel magari. Dico così il premio nobel perché è il primo che mi viene in mente. E' un premio famoso, tanto che alcune persone si costituiscono in comitati spontanei (spontanei?) per chiedere che questo premio famoso venga assegnato a qualcuno.
E secondo me pure questo è un fatto eclatante: c'è un comitato spontaneo che chiede il nobel per il nostro presidente del consiglio.
Il nobel per la politica? No.
Lui è uno forte come imprenditore. Forse un nobel per l'economia, allora? Nemmeno.
Ah, a proposito: il nostro presidente è ancora quello del tetto delle immissioni di gas nell'atmosfera. Su e giù. Premio nobel per l'ambiente? Neppure.
Se per caso avete già letto gli articoli di quel tale con gli occhi verdi che a me piace parecchio, sarete informati dei processi a suo carico. Molti processi, veri o montati dai giudici sovversivi non si sa. Di certo, sempre vincitore lui. Ma allora il premio nobel per la giustizia? Mica lo so se esiste, ma si può fare un altro comitato spontaneo per istituirlo e assegnarlo al premier. Non è ancora questo a cui hanno pensato, però.
Un premio nobel per il presidente più simpatico umorista dei 150 anni della nostra storia? Si potrebbe, stiamo ancora sorridendo tutti per il giovane bello e abbronzato.
Ma no! un nobel è un premio serio, mica si assegna per le barzellette.
Diamogli il premio nobel per la pace.
Silenzio attonito dei miei poveri neuroni sopresi.
Come?
Il comitato spontaneo, forse consapevole di simili possibili reazioni nel popolo pessimista e farabutto, cura un sito
per spiegare le motivazioni.
Si aprono le porte della conoscenza.
Il candidato al premio nobel per la pace stringe la mano al papa.
Beh, certo: ora è tutto più motivato.
Cammina fra le macerie del terremoto accanto a un giovane alto e abbronzato (che coincidenza, non si può assegnare un nobel per più motivazioni?)
Poi c'è un inno, che ti fa affezionare alla causa sicché, dopo aver capito con la mente, partecipi col cuore.
Eclatante, davvero.
E siccome la mia adrenalina ieri era troppo alta e mi impediva di prendere sonno perché pensavo a tutto questo clamore, ho guardato la tv fino a tardi (anche questo sarebbe eclatante ma è troppo personale e non voglio essere egocentrica).
C'era Roberto Saviano, in tv.
Roberto Saviano è uno che quando parla tu riesci a stento a respirare. Ha visto il mondo cattivo, lui. Quello vero in cui la gente muore ammazzata solo perché stava passando a piedi in un certo posto proprio in quel momento. Sa dei traffici illeciti che portano soldi agli uomini d'onore, e che poi a te ti fanno venire il tumore se hai la sfortuna di vivere giusto sopra la discarica abusiva di rifiuti tossici.
Roberto Saviano ha negli occhi tutto questo. Lo vedi quel lampo di spavento e rabbia. La senti la voce piena di mondo, racconta e tu ascolti senza respiro, col cuore che batte più veloce.
Roberto Saviano ha nelle mani le parole belle che hanno descritto quel mondo a tutto il resto del mondo. E per questa ragione vive nascosto come un ladro. Lui ha sacrificato i suoi trent'anni di labbra carnose e sorriso profondo per cambiare il mondo cattivo. Qualcuno gli ha detto che morirà.
Non come tutti noialtri. Prima.
Ammazzato.
Ora se io avessi qualche potere a questo mondo, istituirei un premio nobel. Anzi, prenderei quello che già c'è. Per la pace.
E candiderei Roberto Saviano e Silvio Berlusconi.
Signori, votate,
The winner is......

mercoledì 23 settembre 2009

Contratto a progetto

Questa mattina ho ricevuto una telefonata. Sul display del mio cellulare compariva un numero non memorizzato nella rubrica. Allora - solo chi ha lasciato il curriculum anche al proprio fruttivendolo sa cosa si prova in simili frangenti - PANICO: chiudi tutte le porte perché non ci sia rumore, raggiungi un punto in cui la ricezione è buona, che magari è la sommità del tuo armadio a muro,e con tutta la professionalità di cui sei capace, rispondi.
Pronto.
Si, con chi parlo?
Nel mio caso specifico, parlavo col presidente di una fondazione per cui ho lavorato. Questa fondazione qua, ho dovuto aspettare anni perchè mi pagasse. Con i soldi che mi hanno dato ho comperato lacollezione intera del manuale di spravvivenza del precario. Ci sono anche i gadget, tipo la torcia e il coltello a serramanico. Fighissimo.
Ora io sono una ordinata, che quando faccio un lavoro mi piace avere le idee chiare e il materiale ben inventariato. Così se mi serve consultare una cosa so dov'è e la trovo subito. Il signor presidente se ne deve essere accorto, pur avendomi pagato poco e male. Infatti stamattina voleva il mio aiuto per districarsi in una questione che, se fossero ordinati pure tutti gli altri, non si sarebbe affatto posta. Mentre gli risolvevo la questione, trovando sul mio pc l'informazione che cercava, ho pensato a quelli che con la fondazione hanno un contratto. Chissà cosa stavano facendo mentre io lavoravo gratis per il presidente.
Grazie dottoressa, lei è stata molto gentile.
Vabbè.
Mi permetterò di richiamarla.
Pure!
Quando ho finito la telefonata sono andata a cercare il manuale di sopravvivenza: potrebbe servirmi il coltellino, non sai mai.

sabato 19 settembre 2009

fate l'amore non fate la guerra

Allora c'è questa messa solenne, la dedicazione di una nuova chiesa a un santo della nostra regione. Che è un bel momento, di festa e di appartenenza alla propria terra. Ci vado, ma già lo so che arriva il momento in cui mi incazzo.
Vescovo, sua eccellenza monsignor Santo. Non nel senso di particolarmente buono, Santo di nome. Sua eccellenza monsignor Santo su una specie di podio coperto da un tappeto verde assieme al sindaco. Questo già un po' mi fa incazzare, ma ancora poco. Sorridono tutti, è ancora bello. Tenero, ecco. Io sono così, mi commuovo.
Poi la messa. E poi l'omelia. Che la vita è preziosa. Perfetto. Che bisogna difenderla. Ineccepibile. Che al giorno d'oggi molti non la rispettano. Rischioso. Perchè non si può accettare che si metta fine alla vita- pericolosamente vicino al punto di non ritorno - in modi ignobili come l'aborto - ecco, mi sono incazzata - o la pillola abortiva.
Precisiamo, personalmente non ho abortito e non credo che lo farei. Ma non fatemi dire sempre la stessa cosa, si sa come la penso: non posso imporre agi altri per legge ciò che io scelgo per morale. A parte il fatto che è totalmente fuori luogo un discorso del genere durante l'omelia di dedicazione di una chiesa di campagna ad un santo che ha il volto buono, ma così buono che non ci pensi proprio alla pillola abortiva.
Poi la preghiera dei fedeli. E lì preghiamo per i ragazzi morti a Kabul. Bello. Intenso. Preghiamo per questi martiri. Dice proprio così, il vescovo Santo: martiri per la pace. Che stavano lì in missione di pace. E la ribadisce con forza, questa idea qua.
Quello che proprio non riesco a capire, caro vescovo, è perchè due persone che stanno insieme in un letto commettono peccato, mentre due che si sparano addosso costruiscono la pace?
Dimmelo tu, io ti ascolto. Ma devi convincermi che i baci e le carezze siano più cattivi delle bombe. Che poi gli esiti delle nostre azioni non sempre sono quelli desiderati. Ma se faccio l'amore e concepisco un figlio non voluto, sono condannato alle fiamme dell'inferno. Se cammino con le armi e sparo e uccido un uomo, che nemmeno lo volevo uccidere, in quel caso però sono un martire.
Non lo capisco proprio dove sta la differenza.

venerdì 18 settembre 2009

Voglio i nomi di chi ha mentito, di chi ha parlato di una guerra giusta

C'è sole e polvere, mentre ci muoviamo. Risate di visi confusi dal mattino, calore di corpi accanto al mio. Rumore, forte.
Rombo deciso su strade accidentate e parole leggere per conservare segreti. La pelle della mia donna, il profumo del suo sonno, il colore degli occhi di tuo figlio, eccolo vi mostro una foto sarà cambiato però a quest'età due mesi sono lunghi come due anni ma il suono del suo riso lo sento fino a qui. E' brezza che scavalca montagne brulle di terra straniera.
I fiori, sul ciglio della strada.
E ancora rumore, e parole, e corpi vicini nella polvere. E fame, anche. Fame di colazioni fragranti a quest'ora del mattino. Vorrei un pezzo della torta che solo la mamma riesce a sfornare così soffice, mia moglie no non riesce mai. Quando si torna in Italia veniamo tutti a conoscere tua mamma e ci prepara la torta. Presto. Magari.
Mani abbronzate impugnano armi.
Dovere. Coraggio. Giustizia. Passione. Il mio posto nel mondo e una missione da uomo vero, non come i tanti che corrono tra uffici e ristoranti per indossare cravatte senza avere uno scopo. Io la costruisco la pace. E' bello essere qui, anche se il buio di notte è silenzioso e freddo, e le lenzuola non profumano, e spesso mi sveglia l'eco degli spari. Ma ora è mattino, andiamo per questa strada assolata accecata di luce che copre il vuoto delle mie malinconie.
E' forte, questa luce.
Troppa, forse.
Un rombo, un boato, l'aria si sposta e vuole trascinarmi con sé.
Non trovo gli amici accanto a me. E' un attimo infinito e sono solo. Non trovo le loro mani nemmeno le mie non ho forza nelle gambe e la gola respira fuoco mentre il vortice mi risucchia insieme alle armi e alla foto di quel figlio vedo polvere ovunque e pietre e scarpe e lamiere e sangue e i fiori bruciati dal fuoco e fumo negli occhi e fa male il petto la testa le gambe le mani non ci sono più le mie mani per afferrarmi a qualcosa che mi trattenga salvandomi dal vortice d'aria che mi risucchia.
Non so dove sono.
Non c'è più niente.
Buio.
Silenzio. Una sirena in lontananza. Un grido, qualcuno piange ma piange piano, sempre più piano, non lo sento ora.
Di nuovo silenzio. E un dolore mi toglie il respiro. Forte.
E' ovunque, sono io quel dolore. Poi anche il dolore diventa lontano. Perso in un copro che forse non è il mio. Lieve. Come il respiro della mia donna quando si addormenta fra le mie braccia, che è sempre più lieve.
Non ci sono più le mie braccia.
Non ci sono più io.
Non ci sono.
Io.
Mai più.

domenica 13 settembre 2009

Chi è la più bella del reame?

Adesso c'è questa novità: le donne sanno parlare. Che mica si sapeva prima, è una scoperta recente. E allora è fantastico e inaspettato che le donne, a Miss Italia, dicano qualcosa.
Così il sabato sera della Rai diventa una folklorica
sagra della femmina. Con presentatori, giuria, ospiti famosi (che se tu non sei abituato a guardare la tv nn conosci nemmeno per sentito dire) tutti lì a ripetersi increduli, ed enfatizzare trionfanti: "sono ragazze profonde, che sanno esprimersi".
Ora io lo so che sto invecchiando e le mie idee sono fuori moda, però questa cosa qua che le ragazze belle debbano parlare per dimostarre al mondo che sanno farlo... la trovo un'offesa.
Intanto, se io mi iscrivo al concorso di Miss Italia è perché voglio fare la modella. O l'attrice. Ma anche la presentatrice, ammettiamo. In ogni caso, quando decido di partecipare so che mi metterò in bikini e verrò giudicata per il mio aspetto fisico. Dunque, posto che la giuria e i telespettatori non trovino strabiliante che io sappia articolare una frase di senso compiuto, non è affatto necessario che esprima le mie idee sul mondo. Mi serve avere gambe lunghe, sorriso ammaliatore, seni torniti e sedere sodo. Se vinco non è perché sono intelligente. Quella, semmai, è un'altra trasmissione.
E vi ho detto il primo motivo per cui mi sento offesa. Poi ce n'è un altro. Più personale.
E cioè che quelle sventole là, quando rendono manifesto il loro pensiero, dicono cose tipo: "mi piace mostrare all'obbiettivo le mie forme; sono molto sensibile; quest'esperienza ha smussato lati del mio carattere; sono l'unica con il capello (cit.) corto".
Signori, è proprio necessaria questa umiliazione?

sabato 12 settembre 2009

Bambolina e Barracuda

L'altra mattina passavo a piedi da piazza M., che è il cuore della zona commerciale di L., elegante e ricca città del Sud. Al centro della piazza c'è una fontana, al fianco di quella fontana si stagliava un palco con tanta gente intorno. Io che sono generalmente curiosa, mi sono avvicinata. Selezioni di Miss Non So Che. Scetticismo. Non è il genere di spettacolo al quale mi piace assistere, ma tant'è, ci sono. Osservo.
Il suddetto palco aveva come sfondo il gorgoglio della fontana illuminata dal sole di settembre. Tra i pilastri di ferro e le travi di legno che lo componevano, un lampo rosso. Una ventina di ragazze, tutte più giovani di quanto sembrino in tv le miss, che le vedi agghindate come dive senza età e poi senti il presentatore dire Alessia ha diciotto anni e pensi caspio gliene davo trenta. Ma anche sessanta, potrebbe essere B. B.
La bellezza sopra tutto, prima di tutto.
Quelle ragazze, l'altra mattina a L., in piazza M., erano vestite di rosso: canottiera aderente a disegnare perfettamente le forme dei seni, gonne cortissime svolazzanti di pieghe, scarpe a punta aperta, zeppe e tacchi grattacielici. Rosso. Tutto rosso. Rifulgevano come la mela di Eva. Bellezza. Desiderio.
C'erano degli uomini, sul palco insieme a loro. Dovevano essere i responsabili dello spettacolo, i registi, cosa ne so io come funziona la selezione di Miss Rosso Fuoco. Di certo erano uomini che davano ordini, e le ragazze prendevano le pose richieste. Per mostrarsi meglio. Per far risaltare la bellezza. Per mangiarti meglio, bambina mia.
E mentre il lupo famelico bramava le carni di cappuccetto rosso, ho rivolto lo sguardo alle persone che mi stavano intorno. Per il genere di idea che mi ero fatta - sempre prevenuta, io! - mi aspettavo di essere circondata da ragazzi uomini vecchi giovani adulti, tutti altrettanto agognanti come il lupo famelico.
Invece ho visto una serie di famiglie. Famiglie semplici, tradizionali, perfette. Papà mamma fratellino sorellina in certi casi anche nonno e nonna.
Incredulità.
Sgomento.
Quelle ragazze erano venute accompagnate dall'intera famiglia. Superare le selzioni di Miss Zeppa Altissima non è solo il desiderio baluginante di una ragazza che si sente padrona del mondo perchè ha sedici anni. Ci siamo passati tutti, magari con sogni diversi: io volevo diventare scrittrice, tu modella: va bene, a sedici anni ogni cosa è possibile.
Ma sedere il sabato sera su una poltrona di Rai Uno mentre Carlo Conti pronuncia le parole magiche... è l'ambizione che hanno le famiglie. Chi è il barracuda di quelle sfolgoranti bamboline?
Mia nonna spegneva stizzita la televisione perché le femmine erano troppo nude. Le chiamava con appellativi poco lusinghieri. Che possiamo farci, era una contadina burbera, lei. Ora non c'è più.

Casta che sogna d'esser puttana

Diciamolo subito: io non ci credo al malocchio, nè alla sfiga, nè a tutte quelle storie pseudomagiche tipo che qualcuno è negativo e allora meglio evitarlo.
Il punto, però, è che ci sono persone che fanno porprio di tutto per essere negative. Sono cattive.
Manipolano la gente, creano relazioni al solo scopo di ottenere il loro utile per poi distorcere la realtà contro chi utile a loro non è più.
Morbosamente egocentrici, smaniosi di salire sul podio, quando si accorgono che non possono primeggiare con le loro sole capacità - IL CHE ACCADE SEMPRE PERCHE' QUESTI TIPI QUA SONO ESSENZIALMENTE STUPIDI - allora buttano fango su chi c'è intorno, in modo che la loro magnificenza rifulga per contrasto.
Ecco, queste persone sono negative.
Perchè fanno male.
Creano il vuoto intorno, come una nevicata fuori stagione che brucia le piante essiccandole. Poi torna la primavera, e sui rami degli alberi spuntano nuovi germogli profumati di colori, e puri.
Ma intanto, quel genere di persone, meglio evitarle.

giovedì 3 settembre 2009

Bandiera rossa trionferà

Io lo confesso: sono una di sinistra. Snob, prevenuta, cospiratrice, un po' terrorista, libertina.
Quando ero bambina mi hanno insegnato a suonare sulla diamonica AVANTI POPOLO ALLA RISCOSSA BANDIERA ROSSA TRIONFERA'. Da ragazza ho frequantato l'Università di Cosenza, pericoloso covo di brigatisti negli anni di piombo; i prof ci facevano leggere sempre i critici marxisti. In sintesi: sono deviata.
E io ci sono proprio affezionata a L'Unità.
Alla sua storia, alla resistenza che ha combattuto per mantenersi viva durante il ventennio, al fatto che ora la dirige una donna e che questa donna non è mai stata una velina, nè una letteronza.
Mi piacciono, ste cose.
Anche il nuovo formato grafico è proprio bello. Allora mi chiedo: noi minoranza di finti intellettuali, illusi sognatori, pertinaci difensori di una pratica quasi in disuso come leggere un giornale... noi, che saremo pure antipatici, non abbiamo però il diritto a leggerlo, quel giornale là?
Tipo avvicinarci al chiosco dell'edicola e dire: buongiorno. L'Unità, grazie!
Senza temere che magari l'edicolante si trasformi in un agente segreto o in un soldato delle SS (Salviamo Silvio, nuovo corpo difensivo della Repubblica Italiana) e ci punti contro un'arma chimica per iniettarci una dose letale di viagra?
Dopotutto siamo ancora folclorici, noi di sinistra.
Potete fotografarci e metterci su facebook. Mentre leggiamo il giornale. E taggare i vostri amici e scrivere: l'ho visto davvero!

martedì 1 settembre 2009

Canzone dei dodici mesi


I miei nonni erano contadini, mani forti e pelle segnata dal vento. Figli della terra, hanno comperato distese di quell'oro dopo la guerra e con paziente laboriosità ne hanno fatto il nostro regno. Smuovere le zolle, piantare i semi, irrigare, arare, aspettare. La gioia del raccolto, conquista strappata col sudore degli uomini e la tenacia delle donne all'ansia sospesa di un temporale che poteva arrivare a portarsi via tutto.
Settembre profuma di mosto, tinge il cielo di vitigni, prepara il rosso calore per l'inverno.
Settembre è custode di tesori che ti daranno vita per un intero anno. Le conserve di pomodori. Le marmellate. Mentre sugli alberi piccoli agrumi restano in silenziosa attesa di essere perle di sole da raccogliere e spremere.
Settembre nei miei ricordi è un mese ricco di promesse e allegro di condivisioni: la grande casa in fermento, come il mosto. Piena di barattoli, bottiglie, pentoloni per le conserve.
Arrivavano le zie per questo lavoro che preparava i tesori. Tre generazioni di donne pazientemente unite ad arginare lo scorrere del tempo: la nonna, sapiente regina, dettava norme, scrutava pomodori e barattoli, ci insegnava come distinguere quello che avrebbe portato buona salsa; le mamme, forti e belle, si occupavano di mille magie fra la cucina e le cantine, gesti veloci e precisi con cui continuare la tradizione creatrice della regina; per noi bimbe il compito più importante. Avvolte in grandi grembiuli di lino profumato, attente a non sporcare i capelli, sedute al bordo dei pentoloni a pelare i pomodori. Dopo aver tolto la buccia sottile, mettere tutto nelle vasche in cui i cugini, gli uomini ancora piccoli, avrebbero intinto le mani nel mare rosso per passare quelle onde di salsa alle bottiglie. I nostri padri si occupavano del fuoco: quello sul quale scaldare l'acqua che avrebbe pelato i pomodori, e quello successivo, finale, l'incantesimo che avrebbe inghiottito le bottiglie per farne conserva.
Nell'altra cantina, intanto, arcano e inaccessibile, fermentava il mosto. E quelle stanze erano proibite ai nostri giochi, potevi solo aspettare che il nonno, il re, uscisse per dare l'ordine. E altre bottiglie sarebbero partite dalle cucine pe riempirsi di un rosso non più polposo, bensì scruo, fluido e profumato.

Io sono cresciuta così.
Ho le radici piantate nella terra.
Sono abituata a seminare, aspettare, curare, aspettare, raccogliere.
Settembre è ancora questo per me.
Non sono brava a restare sospesa sopra la terra. Il tempo non è più regolare scorrere di giorni che sai quando arriveranno. Ogni giorno può portare una telefonata che ti precipiterà in un nuovo orizzonte tutto da inventare. Le stagioni hanno perso il loro sapore.
Settembre è stato trasformato dal progresso. E' diventato liquido, come la modernità. Il lavoro non unisce, non è più scandito dai ruoli familiari. Se ce l'hai, un lavoro, ne sei schiavo e per te settembre è uguale ad agosto e non sarà diverso da novembre. Se un lavoro non ce l'hai, sei precario. Flessibile. E allora le tue mani non sono più quelle operose che muovono i pelati: tu stesso sei gorgogliante come la salsa dei miei ricordi. E resti lì, a settembre. Nella vasca, in attesa di essere riposto in chissà quale bottiglia,e conservato. Ma potresti non andare bene. Se la regina della cantina decide che tu non sei adatto, ci sarà qualcuno che senza troppa premura ti sostituirà.
Io sono figlia della terra, i miei nonni mi avevano insegnato a leggere i tempi e a fare sacrifici che sarebbero stati ricompensati.
Adesso non c'è più terra, sotto i nostri piedi. Non prepariamo vino e salsa, a settembre.
Il nutrimento e il diletto.
La necessità e il piacere. Non dipendono più dal lavoro delle nostre mani.
Peccato non poter mettere al mondo dei figli e insegnare loro l'arte dell'attesa operosa.
Settembre ha un altro profumo, adesso.
Non sono sicura che sia migliore.

lunedì 31 agosto 2009

dichiarazione d'amore

Le parole nascondono il cuore del mondo. Hanno tutta la vita, dentro.

Emozioni, colori, e fiocchi di neve, e battito d'ali di farfalla sopra il profumo di un fiore, e il caffè della mattina, e un riso di bimbo, le carezze sulla pelle, il vetro delle finestre, le note di notte e quelle stonate, le pietre, gli alberi, il biglietto di un treno, la panna sul gelato.

Sono state così dolci le tue parole. Non l'avevo mai sentito il suono muto di una promessa di felicità.

tra moglie e marito non mettere il dito

Ora io credo che se fossi una moglie non lascerei tornare mio marito a casa nel cuore della notte, che è quasi mattino, con mio padre affacciato alla finestra, grigio nella canottiera grigia, a chiedergli come mai ha fatto così tardi. E' una brutta scena, una di quelle che un marito non sa cosa rispondere. E magari poi finisce che lui pensa a un'altra, prima di addormentarsi

Generazione boomerang

Il TG2 di sti tempi è proprio meglio non guardarlo. Cioè, se vuoi sapere tutto sui cani, sulle abitudini alimentari dei gatti, o su quanto un delfino si affeziona all'uomo, va bene: guardalo pure. Ma poi ti capita che, dopo aver imparato quali animali domestici siano più incuriositi dalla tele, ti arriva allegro allegro un servizio che si intitola GENERAZIONE BOOMERANG.

Che saremmo noi.

I trentaquarantenni che "dopo aver preso il volo tornano a casa da mammà". Pronunciato proprio così, con l'accento partenopeo. Ed è in quel momento che se tu sei una che si sbatte in mille modi per trovare un lavoro ma oavunque ci sono tagli e non è un buon momento per allargare il personale, s epoi hai fatto la SSIS ma c'è la riforma Gelmini e saltano 42.000 assunzioni, e tu proprio non sai come pagartela una casa, allora ti incazzi. Ma di brutto.

Che se poi a te non te ne fregava niente neppure die cani che abbaiano davanti ai film, allora ti dici: cazzo lo guardo a fare sto TG2?

Nord e Sud

La nuova moda adesso è il razzismo. Si, certo: non si usa mica questa brutta parola arcaica da intellettuali obsoleti ostili al progresso. Ci sono altri modi per dirlo, ma cosa volete. Io ci sono affezionata alle vecchie parole. Mi riportano il profumo dei libri che leggevo da bambina.

Razzismo, dicevamo. Che chi è diverso da noi in realtà è peggio, preferibile tenerlo a distanza. Per esempio, se uno parla un dialetto che tu proprio non capisci, quello si vede subito che è un barbaro. Lo dicevano addirittura gli antichi romani! E allora io quando me ne sto sdraiata davanti al mio mare, che non è mica un mare qualunque, no, è il mar Jonio. Quando sto lì a respirare l'azzurro limpidissimo che sembra vetro sul fondale di sabbia e conchiglie, non mi piace sentire quei barbari che parlano una cantilena appiccicosa come marmellata e stanno proprio lì, all'ombrellone accanto. Che se riesco a capire cosa stanno dicendo (ma ce ne vuole, io il barbaro non lo parlo!) si lamentano di tutto ciò che non funziona bene nella nostra ionica Calabria.

E io non glielo dico direttamente, perchè preferisco non parlare con quelli troppo diversi da me. Però lo penso. Se non vi piace, tornatevene al vostro mare grigio e torbido. Dove non c'è nemmeno il cielo, coperto dallo smog e dalla nebbia e dall'umidità. Ecco.

10 domande per te

Quand'ero bambina e andavo a scuola, la maestra mi ha insegnato che le domande si facevano per vedere quanto ne sapevi tu di una cosa. E che era meglio rispodnere al maggior numero possibile di domande. Più rispondevi, più chi ti stava interrogando si assicurava che tu eri una a posto. Che avevi fatto il tuo dovere e di te ci si poteva fidare.

E se uno, per esmpio, era cattivo e ti chiedeva la capitale dell'Altonesia, che tu lo sai che l'Altonesia non esiste, allora era proprio il massimo. Tu rispondevi. Potevi dire, per esempio: "mi dispiace correggerti, volevi forse dire l'Indonesia?". E a quello lì lo smerdavi del tutto.

Ma dovevi rispondere.

Altrimenti non valeva

Aoms Oz, Una storia d'amore e di tenebra, feltrinelli

E' come avere accanto un nonno di infinita saggezza, seduti al bordo del fuoco oppure a camminare lungo sentieri di grano. Tu sei piccolo piccolo, mentre lui sa il mondo e te lo racconta. Ogni cosa ha un nome, e un colore, e un profumo. Ti racconta ciò che ha visto e anche tutte le cose che non si vedono, la fragranza del pane, il caldo del sorriso, il peso dei ricordi e la leggerezza dei sogni.

Lui è un ebreo, e non ha casa. Tu ascolti e ti senti senza radici, non c'è nessuna terra che ti appartenga. Solo la storia del viaggio. E la sofferenza: arriva improvvisa come pioggia d'estate, scavata dentro la tua anima. Diventa ferita nel cuore. Ma il ritmo è sempre fluido, ricco: un fiume che scorre, ti bagna di parole. Tantissime parole, curate levigate pesate scelte e incastonate in questa narrazione inesorabile e irresistibile. Una storia di amore e di tenebra.

Regalatevelo, se volete fermare il tempo del mondo e restare l', ad ascoltare, senza fretta....

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