venerdì 30 dicembre 2011

E' difficile spiegare certe giornate amare, lascia stare

Quando una donna è stressata, avverte il bisogno istintivo di parlare delle proprie sensazioni e dei problemi ad esse associati. Quando comincia a parlare non stabilisce alcuna priorità. Se è turbata, è turbata per tutto, per ciò che è grande come per ciò che è piccolo. Non si preoccupa subito di trovare soluzioni adeguate, ma cerca piuttosto sollievo aprendo il proprio animo e chiedendo comprensione. Parlando a casaccio delle sue difficoltà, finisce per sentirsi meglio [...] Discutere di tutte le difficoltà che l'affliggono senza concentrarsi su nessuna in particolare l'aiuta a stare meglio. [...]
Le donne parlano dei problemi passati, dei problemi futuri, dei problemi potenziali, perfino dei problemi per cui non esiste soluzione. Più parlano ed esplorano, meglio si sentono. Pretendere reazioni diverse da una donna significherebbe negare la sua natura più autentica.
[...] Di solito quando una donna parla dei suoi problemi, un uomo oppone resistenza. Dà per scontato che lei lo ritenga responsabile delle sue difficoltà. Non sa che gli basterebbe ascoltarla per guadagnare la sua riconoscenza [...] Se le offre soluzioni, lei andrà avanti a parlare di altri problemi. Dopo avergliene offerte due o tre, lui si stupirà non vedendola stare meglio [...] Gli uomini si snetono frustrati soprattutto quando una donna espone problemi che loro non sono in grado di risolvere [...] Inoltre per un uomo ascoltare è difficile perché quasi sempre parte dall'errato presuposto che ci sia un ordine logico nell'esposizione verbale della compagna, che invece passa senza alcun criterio logico da un problema ad un altro. Si sente di conseguenza sempre più frustrato e confuso nell'inutile tentativo di trovare connessioni logiche [...] Non è in grado di cominciare a formulare soluzioni finché non conosce l'esito del discorso.
John Gray, Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere

giovedì 29 dicembre 2011

Sei grande grande grande come te sei grande solamente tu

A volerci fare un bilancio delle cose buone di quest'anno che finisce, io vorrei dire che quella signora lì, in fondo in fondo, è davvero una "culona inchiavabile".

Tra dire e fare tra terra e mare, tra tutto quello che avrei da dire sto qua

L'ottimismo è il profumo della vita. E io, che di ottimismo alle volte puzzo un poco, mi dico: vabbè, proviamoci a cercarlo un volo per Lamezia. Che in fondo un poco di Calabria mi manca. Sicché mi metto all'opera, ad affrontare e superare gli ostacoli. 
1) La difficoltà di percorrere il tragitto aeroporto-casa calabra. Mezzi pubblici, ci metti tre giorni. Ma, mi dico, io ne ho di amici cari che ci verrebbero a prendermi. Certo che ne ho. Posso chiedere, addirittura potrei trovare un passaggio per l'andata e un altro per il ritorno.
2) Il biglietto è caro. Ma a dicembre c'è la tredicesima. Posso farcela.
3) A questo punto cerco il volo. Mi carico di ottimismo. Lo trovo. E passo di filata al punto successivo.
4) L'orario del volo di ritorno. L'aeroplano riparte da Lamezia alle 06.00 del mattino. Qui non ho più risorse per superare il problema. Potrei arrivarci in autostop, se proprio.

Non esco di casa, no e no, fuori c'è la crisi

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perchè la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere “superato”.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

A. Einstein
 

mercoledì 28 dicembre 2011

Non avrei voluto essere il primo della classe, non avrei voluto mai portare i primi occhiali

Ho voglia di disordine. Sono stanca di essere la prima della classe. Dover fare tutto al meglio perché dentro di te c'è quel cazzo di superio che ti assilla. E perseguitarlo se lo vedo anche all'esterno, qualcuno che somiglia al superio.
Ho voglia di trasgressione. Di vento che scompiglia i capelli. Di piatti sporchi e pranzi saltati. Di partire senza meta. 
Dite a quella bambina che le vorranno bene anche se lascia tutto in disordine.
Ma forse è troppo tardi perché capisca.

Non so quanto cuore avrò, io mi difenderò

Ci sono delle cose che quando vengono dette o fatte hanno un peso talmente invasivo da riportarti alla mente le battaglie combattute e perse di un'intera vita. E allora non hai più la forza di reagire. Provi a difenderti. Ma vedi con lucida chiarezza che stai scivolando verso il baratro. Sono veramente pochi quelli che possono capirti. Anche perché non hai le parole per spiegarlo.

Pizza pizza alla margherita, la mangi con le mani poi ti lecchi le dita

Ad un esame importante, mi chiesero di presentare Bismarck. Figura e importanza di Otto van Bismarck, o roba del genere. E' vero che lo scibile è immenso e gli esami non finiscono mai: a me, durante quell'esame lì, di Bismarck non mi è venuto in mente molto. Che era un cancelliere tedesco lo ricordavo vagamente; con nitidezza mi veniva in mente la pizza all'uovo. So mica il perché non riuscivo a smettere di pensare alla pizza: non l'ho mai mangiata, fra l'altro. Però la mia risposta al quesito non fu esauriente, in quella sede. Naturale che dopo io di Bismarck ho imparato tutto.
Poi, conseguo alfin l'ambito titolo, e mi ritrovo in classe ad insegnare storia. Nazionalismo, movimenti di indipendenza, Otto van Bismarck. Spiego. Un alunno alza la mano e chiede: ma non c'è una pizza che si chiama così?
Sono soddisfazioni.

sabato 24 dicembre 2011

sabato 17 dicembre 2011

Caro amico ti scrivo

Primo, non sentirti in colpa. D'accordo, hai perso le staffe e l'hai mandata a fare in culo. Non c'è da meravigliarsi, hai reagito da essere umano. Anzi, vuoi che te lo dica? Era ora. Perché se una colpa hai avuto, negli ultimi tempi soprattutto, è stata quella di prestarti a questa specie di stand by amoroso in cui lei, da brava impunita, si è riservata il diritto di recesso unilaterale in qualsiasi momento. Vuoi che in un patto così leonino non ti girassero i coglioni, prima o poi? Meno male che hai ancora qualche riguardo di dignità.
Secondo, ma l'hai sentito come ti trattava? [...] ma chi crede di essere per parlarti con quel sussiego? Fanculo, hai fatto benissimo.
Terzo, il fatto che ti abbia attaccato il telefono in faccia dimostra, al netto della cafonata, che non sapeva cosa dire. Perché è chiaro che se uno ha degli argomenti non scappa dalla discussione: discute. Troppo comodo pensare di cavarsela riattaccando. Troppo, troppo comodo.
Quarto (e veniamo al punto che più ti angoscia): okay, è finita, e allora? L'irreparabile può dare un gran sollievo, se lo guardi da un'altra prospettiva. Soffrirari per un po', ti farai il tuo annetto lordo di commiserazione e piagnistei, e quando avrai finito di lamentarti farai pace con te stesso e ricomincerai a vivere. Non sto dicendo che è semplice. Ma non si tratta di sposatre una montagna. Alessandra non è indispensabile. Non hai bisogno di lei. Ecco, ripeti il nome: Alessandra, Persiano. Ripetilo. Ripetilo fino a farlo diventare la sigla di una donna come qualsiasi altra. Lo senti, che è già meno drammatico?
Quinto (e qui facciamo un passo indietro, anzi, sotto): liberati dalla tua miserabile pauretta della solitudine. Smettila di accanirti nei rapporti guasti. Smet-ti-la. Stai benissimo anche senza una donna accanto, okay?
Eh, dico. Okay.
Bah.

Diego De Silva, Mia suocera beve

venerdì 16 dicembre 2011

Chiedimi se sono felice

Se siete insegnanti, o se per qualunque motivo vi trovate a parlare davanti ad un pubblico la cui età spazia dagli 11 ai 14, e se per caso voi siete di quelli che dopo aver parlato gradiscono lasciare spazio all'uditorio, allo stimolo: Ci sono domande, preparatevi a ricevere risposte del tipo:
1) posso andare al bagno
2) ma quella dietro la sua maglia è una farfalla
3) ma al liceo scientifico c'è il bar
4) che ore sono

giovedì 15 dicembre 2011

Chi si offende tradisce il patto con l'inutile omertà

A quanto pare viviamo in un paese in cui la gente prende una pistola e spara a qualcuno solo perché ha il colore della pelle diverso. Scuro, magari. Così fai prima a identificarlo nella folla e il tuo bersaglio è meglio definito.
Indignazione, rabbia, solidarietà alle vittime. Si sta facendo a gara per esprimere questi bei sentimenti, la verità. 
La questione però resta. E' successo. E forse non è neppure così inspiegabile, se consideriamo che siamo lo stesso paese in cui una ragazzina di sedici anni trova più opportuno dire di essere stata violentata dagli zingari che non ammettere di avere avuto il suo primo rapporto sessuale. Che a sedici anni non è neppure così prematuro. 
Cioè, per essere più chiara. Le nostre famiglie, quelle belle e pulite che vanno in chiesa e pagano le tasse, educano le loro figlie in questo modo. Amare un uomo è il problema. Mentire, accusare lo straniero, dirsi vittima di una cosa brutta quanto uno stupro, no. E' accettabile.
Ecco, io non credo che i neofascisti dei miei stivali abbiano tutte le colpe. E' la società dei finti valori che produce mostri. 
Personalmente, di tutte le nefandezze accadute in questi giorni, la cosa che mi offende di più è quella ragazzina lì. Dio, mi si è macchiato il jeans, come lo dico a mamma. 
Mamme, se avete educato le vostre figlie così, rendendole schiave dell'apparenza, del perbenismo di facciata, tanto da non saperlo distinguere dalla cattiveria pura né dalle vere tragedie della vita, non andate alla fiaccolata di solidarietà a favore dei senegalesi. Fatevi piuttosto delle domande.

Viva l'Italia del 12 dicembre

Perché, diciamocelo, tutti abbiamo pensato almeno una volta di inviare un pacco bomba agli uffici di Equitalia.

lunedì 12 dicembre 2011

Ci sono topi tutto in giro topi tutto intorno

Ma le agenzie di reting, che come ci muoviamo non gli va bene, che cazzo vogliono da noi esattamente?

domenica 11 dicembre 2011

E fermarsi in trattoria per un panino

Il bello di quando non lavori è che puoi organizzarti e fare una piccola gita, informarti su monumenti e mostre che ci sono nei dintorni, mettersi in macchina e andare per fermarsi al primo autogrill sull'autostrada a mangiare panino con coppa e gorgonzola; e birra, naturalmente, alle dodici di mattina.

E restare due giorni a letto non andare più via

-Servizio prenotazione mostre, buona sera
-Buona sera, vorrei un'informazione: la mostra di Van Gogh a Genova...si visita solo su prenotazione?
- No, signora. La prenotazione è consigliata per i giorni e le fasce orarie di maggiore affluenza
-Capisco 
-Lei quando avrebbe intenzione di andarci?
-Domenica
-Ecco. Domenica le consiglierei di andare per le nove

giovedì 8 dicembre 2011

Cresecerai, imparerai

La vanillina non è lievito vanigliato. L'ho imparato dopo aver preparato una torta che si è trasformata in frittata.

mercoledì 7 dicembre 2011

Bambini venite parvulos

L'ho sentito al tg regionale; c'era addirittura una psicologa che avvalorava la tesi.
Gli insegnanti non devono dare l'amicizia su feisbuc agli alunni.
Io mi sono sentita interpellata perché sul feisbuc ci vado, e con gli alunni ci sono amica. Non intendo mettermi a discutere con i pareri degli esperti, anche perché, data la premessa della mia condizione, sembrerebbe un'apologia. E siamo tutti bravi.
Però mi piace citare due degli assiomi esposti nel servizio:
1) i professori non possono dialogare su feisbuc con gli alunni perché sarebbe un rapporto alla pari ed è invece importante mantenere il ruolo
2) l'accesso degli alunni ai profili degli insegnanti tiglie loro la vita privata
Allora. Che su feisbuc uno possa avere una vita privata, a me riesce difficile pensarlo. Teniamo fuori i pischellini dai nostri profili, ok: avremmo una vita privata su un social network?
Sarà vero che la gente scrive cose personali, mette foto, anche di bambini; ma quelli che lo fanno dovrebbero essere consapevoli di gettare sulla pubblica piazza tutto ciò che scrivono. Anche perché, e l'italiano è importante, il verbo usato per indicare le azioni su feisbuc è "pubblicare". Dalla stessa radice di pubblico. Che è l'opposto di privato.
Quelli che non ne sono sufficientemente consapevoli, dovrebbero metterlo in discussione il proprio ruolo. Ma di adulti.
Se confondono feisbuc con la vita (e qui, se fossi una che espone una tesi, passerei ad analizzare l'affermazione 1), il ruolo temo che facciano fatica a mantenerlo anche in classe. 
La conclusione, come in ogni dibattito di infimo spessore intellettuale che si rispetti, deve essere tratta dalla mia esperienza personale, a sto punto; per avvalorare la mia tesi con esempi tratti dalla vita scolastica e mostrare come, pur dando l'amicizia agli alunni, uno il ruolo lo mantiene.
Dialogo, fase antecedente:
-Prof, la accetta l'amicizia su fb?
-E perché no?
-Allora gliela chiedo
Dialogo, fase successiva:
-Prof, è andata a correggere un errore sullo stato di S?
-Ma è chiaro, io quando sento e vedo che commettete errori, vi correggo
-Prof, io non gliela chiedo l'amicizia, perché ho paura di fare brutta figura

Resta cu 'mme

Da casa mia ho la fortuna di vederlo bene. Molta gente si ferma a guardare il mare. Stanno lì, senza fretta, le cose da fare alle spalle, e davanti agli occhi la bianca spuma. Credo che fino a quando questo accadrà, il mondo può salvarsi.

martedì 6 dicembre 2011

Gli eroi son tutti giovani e belli

Dunque, vediamo se ho ben capito quello che sta accadendo in Italia.
La finanza ha ceduto. Il sistema economico del capitale fa acqua da ogni parte. Il Bel Paese ha le pezze al culo. Berlusca lo additavano tutti come responsabile: niente di meglio per il suo ego che vedersi tributare tanta importanza. Però quegli altri compagnucci di merende dei capi di stato gli ridevano dietro, e c'era lo spread con i titoli tedeschi. Che se continuava, e Berlusca per primo lo sapeva, l'economia dei baroni andava a puttane. Oddio, Berlusca qui è stato tentato di provare anche questa strada; ma poi ha capito che qualcosa bisognava fare.
Qualcuno doveva pagare. Perché c'è carenza di liquidità. Cioé, i soldi veri se li sono mangiati le banche e le borse. Quindi, bisogna trovarne altri. A quel punto i politici si ricordano dell'esistenza di qualcuno che fino a quel momento avevano egregiamente ignorato: il popolo italiano. Ah già, si sono detti. Chiediamoli a loro, i soldi.
Naturalmente, Berlusca la parte di quello che fa le riforme impopolari non voleva proprio farla. E si è dimesso. Gli eorici rappresentanti delle sinistre, non sappiamo se neppure loro hanno avuto il coraggio dell'impopolarità oppure se hanno candidamente confessato di non capirci nulla. Sta di fatto che hanno trovato una soluzione proprio fica.
Mettiamoci la faccia di un altro. Chiamiamo un tecnico, che si circondi di altra gente sconosciuta ai più. Cosicchè la firma sull'inculata collettiva ce la metteranno loro. E noi, felici e contenti, ce ne staremo a margine a dire alla gente: aspettate le prossime elezioni, che se ci votate vi risolleviamo noi. Naturalmente l'italiano medio ci crederà. E nel 2013 le elezioni le vince di nuovo Berlusca. O Bersani, se proprio.
Nel frattempo, all'annuncio della super manovra Monti, lo spread ha un'impennata che mai fin'ora. Ma come?! E tutte ste riforme non servivano a risollevarci dal fallimento?
Evidentemente no. 
Forse quello che serviva è ritornare ad un'economia reale. Dove tu vai in un posto, fai il tuo lavoro perché è quel lavoro che serve, lo inizi a fare magari quando sei ancora sotto i trent'anni. Poi prendi lo stipendio. Ti compri il pane, i vestititi, un giornale o un libro, e hai esaurito le tue esigenze mensili. Perché magari, che ne so, internet c'hanno dato il wireless gratis, si è capito finalmente che i cellulari non è necessario cambiarli ogni natale, i bambini non giocano più solo con la play station ma si riuniscono e si inventano loro un bel gioco. E la casa, se non ci preoccupiamo più di doverla comperare per forza, magari il mutuo non ce l'abbiamo più. E quanti soldi risparmiamo? E non è liquidità, questa? No perché, secondo me, lo spread è saltato perché quelli che decidono ste cose si saranno accorti che la manovra può trovare i soldi adesso, ma poco cambierà della situazione strutturale dell'Italia. E allora, fra due-tre anni, uguale. Magari con lo stesso presidente del consiglio di prima.
L'ho capito bene, secondo voi, quello che sta succedendo in Italia?

Mille aghi nella mente e niente mai risposte

Ora c'è questa tendenza qua: quando il discente al quale rivolgi una domanda in classe non ha studiato una minchia, quindi ovviamente le parole della tua domanda saranno per lui incomprensibili, egli sfoggia un'espressione da talk show e ribatte: in che senso?
Quando ero ancora piena di belle speranze, provavo a rispiegare meglio. Ora che conosco il mostro nascosto dentro ognuno di loro, replico: nel senso che io ti prendo e ti spacco la faccia, brutto stronzetto; con chi credi di avere a che fare? secondo te io sono tipa da farsi prendere per culo da un lattante? 
Ma lo replico solo nei mie pensieri.

sabato 3 dicembre 2011

Qui non è successo niente e non credo cambierà

Sto diventando come Erri De Luca. Ma non intendo scrittore.

I giardini di marzo si vestono di nuovi colori

Quello che conta è il "quasi", e il condizionale. A tutta prima, sembra una pazzia. Siamo all'inizio di marzo, abbiamo avuto una settimana di pioggia. E poi, da stamani, è spuntato il sole, con un'intensità smorzata, una forza tranquilla. Il pranzo è pronto, la tavola apparecchiata. Ma anche dentro, tutto è cambiato. La finestra socchiusa, i ruomori di fuori, una leggerezza nell'aria.
"Si potrebbe quasi mangiare fuori". La frase arriva sempre nello stesso istante. Proprio prima di mettersi a tavola, quando sembra troppo tardi per sovvertire il corso del tempo, quando l'antipasto è già sulla tovaglia. Troppo tardi? Il futuro lo decidi tu. Forse sarai così pazzo da precipitarti fuori, a passare lo straccio sul tavolo del giardino, a suggerire maglioni, a canalizzare l'aiuto che ciascuno offre con brio maldestro. Oppure ti rassegnerai a mangiare al caldo - le sedie sono troppo bagnate, l'erba così alta...
Poco importa. Quello che conta è il momento della frase. Si potrebbe quasi... è bella la vita al condizionale, come nell'infanzia:"potremmo fare cos': tu sei..." Una vita inventata che prende in contropiede le certezze. Una vita quasi: l'aria fresca a portata di mano. Una fantasia modesta, una ventata di saggia follia che cambia tutto senza cambiare niente.
Talvolta diciamo:" si sarebbe quasi potuto..." Questa è la frase triste degli adulti che hanno mantenuto in equilibrio sul vaso di Pandora solo la nostalgia. Ma ci sono delle volte in cui cogliamo il giorno nel momento fluttuante delle possibilità, nel momento delicato di un'esitazione onesta, senza orientare in anticipo il giogo della bilancia. 
Ci sono giorni in cui si potrebbe quasi.

Philippe Delerm, La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita

venerdì 2 dicembre 2011

Sono lontani quei momenti quando uno sguardo provocava turbamenti

Oggi ho visto una che indossava le stesse scarpe che mettevo io al liceo, e portava la stessa borsa che usavo io all'università. Quanto sono consumistica, mioddio!

Tra due minuti è quasi giorno

Io voglio la spiegazione scientifica per cui quando mi suona la sveglia alle sei del mattino le mie reazioni sono, nell'ordine:
1. dove sono?
2. che sta succedendo?
3. voglio morire!
mentre quegli altri giorni in cui posso alzarmi più tardi, alle sei e un quarto mi sveglio.

Tienimi dentro te

Abbracciarsi da sdraiati. E non sapere dove finisce il tuo corpo e inizia il suo.

giovedì 1 dicembre 2011

Nostra figlia già si muove, si muove nel tuo fianco

E poi c'è il ricevimento parenti. Che arriva il parente e tu capisci subito tutto del ragazzino, tanto da non avere quasi più bisogno di interrogazioni o verifiche. Io mi diverto pure. A fissare le facce del parente seduto davanti e cercare di riconoscere i lineamenti o le espressioni dell'alunno. Sono come delle caricature, le facce dei parenti. 
Io c'è un alunno che mi fa girare livemente le balle. Poverino, non ha bisogno di fare niente. Una reazione a pelle. Che poi quello ci mette del suo e proprio bene non si comporta; ma io mi sento infastidita a prescindere. Ora, il parente di questo ragazzino si è espresso più o meno così: la adora, dice che è contento nelle sue ore perché lei gli vuole bene.
Professionalmente, mi sono sentita molto gratificata. Che quando fai questo lavoro, l'obiettività è fondamentale. Tutti ricordiamo quella prof stronza che faceva preferenze. Che sono naturali, purtroppo, biologiche. Ma non hai il diritto di farne, in questo lavoro. Quindi, tutte le forze emotive volte a  non far passare nessun trattamento di riguardo. Che lui, proprio lui, riferisca a casa che gli voglio bene, è una cosa che professionalmente mi ha dato soddisfazione.
Umanamente, però, mi sono sentita una merda.

Archivio blog