venerdì 27 novembre 2009

Ci vorrebbe un amico per dimenticare tutto il male

Oggi l'amica mia canterina mi ha detto una cosa che le ha detto una sua amica.
Le cose dette perché te le hanno dette o sono pettegolezzi o sono massime di vita.
L'amica mia canterina ha detto che una sua amica dice: Sono disposta a tutto pur di ridere.
Ecco, io questa frase qua la trovo meravigliosa. E ne farò la mia massima di vita, da oggi in poi.

giovedì 26 novembre 2009

Al di qua del muro

Ci sono gli scrittori, e ci sono gli insegnanti di lettere.
Ci sono i creativi, e ci sono i critici.
La divisione è netta: i primi scrivono, creano; i secondi leggono e studiano.
Critca viene dal greco Krino. Cambiare per crescere. E per questo ogni critica è positiva. Però, se resti solo al di là del muro, la tua capacità di far cambiare per crescere si atrofizza e si trasforma in un asettico tentativo di imbrigliare tutto nella rete delle tue categorie concettuali.
E la fantasia, l'arte, si sa: non le puoi imprigionare. Ti sfuggiranno sempre.
Ieri ho visto questo scrittore
Può piacere. Non piacere. Poco importa. La cosa importante è che sto tizio si siede davanti a un foglio bianco e scrive. Inventa. Crea.
Nello stesso luogo in cui ho visto il suddetto scrittore (diciamo il peccato ma non citiamo i peccatori) c'erano dei docenti di letteratura dell'Università (che non linko, ci mancherebbe pure!).
Il creativo in questione ha parlato del suo libro, caricando di emotività il racconto con le note di Vivaldi; il collegamento era: io ho scritto cercando l'emozione che ha fatto nascere queste composizioni.
Dopo ci sono state le domande. Una docente ha esordito con "sarò breve", che tradotto dall'italiano accademico all'italiano corrente significa parlerò quindici minuti di fila. Un preambolo barocco, complicato e trabordante di citazioni accademiche, per chiedere quali sono stati i riferimenti letterari del romanzo.
Lo scrittore ha risposto da creativo. Nessuno, ha detto. Che non sarà vero, naturalemnte, ma ha fatto contrasto netto con l'erudizione pedante esibita da lei.
Ci sono gli scrittori, e ci sono gli insegnanti di lettere.
Ci sono i creativi, e ci sono i critici.

Il lavoro dei primi ti fa sognare, emozionare e diveritre. Il lavoro dei secondi può ammazzare ogni emozione.
Io, perdonatemi, ma vorrei tanto stare al di qua del muro.

martedì 24 novembre 2009

La sposa aspetta un figlio e lui lo sa

Dunque, Maria Stella aspetta un bambino. Che è una cosa meravigliosa. Beta lei, davvero. Auguri. Sii felice.
Maria Stella, però, la maternità le ha procurato un impeto di dedizione al lavoro e, secondo me, di malcelato piglio da maestrina. Della serie guardate me quanto sono virtuosa. Che io, ci vado fino all'ultimo giorno di gravidanza al lavoro.
Cara, io immagino che quando una donna aspetta un figlio il mondo le sembri tutto un paradiso di fiori, e allora i problemi e le difficoltà come per magia si dissolvono nell'aura tenera della maternità. Ragion per cui, se permetti, ti rammento qualche cosina. Non per turbarti nel momento più bello della tua vita, ci mancherebbe. Solo per farti capire cosa facciamo noi altre, quaggiù sulla terra.
Purissima Ministra della Pubblica Istruzione, Specchio Immacolato di Virtù, se avessi il lavoro che hai tu ci andrei pure io al lavoro fino all'ultimo giorno di gravidanza. Anzi, ci partorirei proprio sugli scranni del Parlamento. Insomma, diciamocelo chiaro, tu guadagni diecimila euro al mese e non fai una beata minchia.
Hai solo firmato un decreto che, quando noi altri ti abbiamo chiesto quali erano le norme per affrontare gli esiti della tua riforma, tu nemmeno lo sapevi. Cioè, non ti sei nemmeno sprecata a leggere qualcosa sull'ordinamento scolastico. O a ragionare, che ne so, su quei problemini di logica che ti fanno fare a scuola del tipo se Pierino perde la busta della spesa poi a casa che cosa mangiano. Roba elementare, che non ti sforza molto. Roba che se dovevi firmare una riforma almeno impiegavi mezza giornata a ragionarci un po' su. Tu invece no. Niente.
Secondo me non ti sforzi molto, abbi pazienza.
E a quel prezzo, poi....non offenderti: ma secondo me non stai facendo nulla di eccezionalmente virtuoso. Restare seduta a non far nulla a diecimila euro al mese....grazie, anche io.
Anzi, la vuoi sapere un'altra cosa?
Se tu non ci avessi tagliato i posti di lavoro, lo avrei fatto pure io un figlio. E ci sarei andata pure io a scuola fino all'ultimo giorno. Anche se io, per 1200 euro (capito? non 10.000, no: 1200) devo tenere calma un'orda barbarica di trenta alunni, minimo, che mo hai aumentato le classi quindi il mio mestiere si risolve solo in una specie di domatore da circo zitti buoni calmi seduti vi metto la nota. Anche in quelle condizioni, io ci sarei andata lo stesso a scuola. Volente o nolente. Del resto, la riforma Brunetta se ti assenti ti manda le SS che ti chiudono nel campo di concentramento, hai poco da scegliere.
Invece tu, Ancora di Salvezza per le nuove generazioni, Modello di dedizione alla causa, hai tagliato 42.000 cattedre. E oggi (vorrei solo suggerirtelo, senza turbarti troppo però) ammesso che metà di quei 42.000 sono maschi, ammesso che metà hanno già fatto un figlio, restano almeno 10.000 donne che, al contrario di te, un figlio non lo possono fare.
Certo, la vita non è uguale per tutti. Ci sono i privilegiati e gli sventurati. Ma almeno, che i privilegiati non salgano sulla cattedra a dire agli altri come comportarsi.
Sulla cattedra....ops, ho usato una metafora poco appropriata.
Auguri, Maria Stella. Ogni felicità.

domenica 22 novembre 2009

Giro giro tondo

Ho una palla rossa con le stelle colorate. E' il mio gioco preferito. Mi piace guardarla, tenerla in mano, lanciarla: quando rotola, con le stelline colorate, sembrano i fuochi d'artificio. Sono un po' gelosa della mia palla rossa, e ci lascio giocare soltanto gli amici più amici, quegli altri bambini che quando la palla rotola sanno vederci i fuochi d'artificio, come me.
Lui l'ho incontrato nel parco, e mi ha chiesto di giocare insieme. Si vedeva subito che era un bambino buono, gli ho detto si ma non lo sapevo all'inizio se gli avrei dato la palla rossa. Abbiamo giocato con il suo camioncino, a nascondino, siamo andati insieme sullo scivolo e mi ha spinto sull'altalena. Allora mi sono fidata e un giorno, senza neanche pensarci prima, ho portato con me la mia palla. Ci siamo divertiti, non mi sono pentita di averlo fatto giocare con la palla rossa.
Poi lui ha iniziato a fare i capricci. Io sono una bambina che i grandi me lo dicono che ho dei problemi, ma non lo faccio apposta ad avere i problemi. I grandi hanno sempre ragione, sarà stato per quello che lui ha fatto i capricci. Però a me non mi piace litigare con gli altri bambini, perché mi viene da piangere. Allora ho preso la mia palla rossa con le stelle colorate e sono venuta via dal parco. Adesso i fuochi d'artificio, sulal palla rossa, li guardo da sola.

venerdì 20 novembre 2009

Ho visto Nina volare

Ci sono cose che crediamo perfette. Regolari. Finite. Rassicuranti. Direi che sono le cose lucide, sulla cui superficie ti puoi riflettere. Spesso queste cose lucide sono delle persone, che scelgono di vivere indossando gli abiti della perfezione, della regolarità, della finitezza, della rassicurazione. Quella superficie lucida non può nascondere scabrosità. E le persone lucide hanno raggiunto il loro ideale di perfezione e sono paghe di restare lì, in vetrina, a brillare di lucentezza. Ma poi arrivi tu, ti avvicini, provi a rifletterti sulla superficie lucida e vedi tutt’altro. Sporco, buio, fango, polvere e miasmi. Quando Nina inizia a volare, ogni certezza cade. Gli oggetti lucidi si frantumano. Le persone precipitano nell’abisso della loro stessa anima che non conoscevano, o non volevano conoscere per paura di trovarvi qualcosa di diverso da ciò che hanno cercato di realizzare per un’intera vita, adeguandosi alle aspettative della società, dimenticando di essere fatte di carne e sangue.

Perché accade questo? Dove ho sbagliato? Si tormenta lo Svedese, il protagonista di questo meraviglioso romanzo di Philip Roth.

Lo sbaglio stava nel credere che il mondo fosse lucido. Invece c’è la rabbia, dietro alla perfezione. Perché la perfezione non esiste. È illusione fredda e paralizzante.

Lo Svedese voleva restare un oggetto lucido. Sua figlia ha scelto di volare. Leggendo questo libro, possiamo provare a decidere anche noi da che parte stare.

Un libro che ti dà una nuova conoscenza del mondo, come dicono i critici quando vogliono fare una recensione positiva a un’opera. Una storia che ti avvince dalla prima pagina, dico io. E che ti insegna a volare.

Philip Roth, Pastorale americana, Einaudi


Buona lettura


Le faremo sapere noi


Se sei un laureato italiano e hai fra i 25 e i 35 anni, conosci esattamente il significato di queste parole. “Non ti richiameremo mai più”, vuol dire. E dopo la fatica, non priva di un po’ di umiliazione, di portare il tuo curriculum ovunque… non è una bella cosa da sentirsi dire. Quando eravamo piccolini e siamo andati a scuola per la prima volta, abbiamo tacitamente imparato che avremmo posseduto una ricchezza – l’istruzione, il titolo di studio, il sapere – che ci avrebbe dato un posto nel mondo. Invece…

Invece Amelie conosce due lingue, perfettamente perché è belga e ha vissuto in Giappone. Si presenta alla Yumimoto, che è una multinazionale di quelle definite un colosso. E finisce a fare la guardiana dei cessi. Perché, invece, la sua istruzione, le sue competenze, la sua ambizione, non servono a nessuno. Anzi. Minacciano il perfetto ordine giapponese del lavoro e della società.

Di questo libro si è detto che è un racconto sul diverso, sulla difficoltà di vivere secondo parametri che non ci appartengono. Io non giudico molto appropriata questa recensione. Si, certo: è anche questo. Ma è il racconto di tutti noi, della nostra lotta alla sopravvivenza nel magico mondo del lavoro. Non giapponese, no. Italiano. Italianissimo.

Ed è un racconto estremamente piacevole, in cento pagine che ti scivolano addosso come acqua fresca. Ironiche, divertenti. Del resto, una che porta sti cappelli, non può che essere ironica, se non è folle. O forse è entrambe le cose.

Amélie Nothomb, Stupore e tremori, Voland

Buona lettura

venerdì 13 novembre 2009

On the road

Dite ai camionisti, per favore, che se guidano incollati alla striscia di mezzeria, noialtri povere automobiline non possiamo sorpassare mai.
Dite a quanti posseggono il Suv che per loro è severamente vietato guidare ad una velocità inferiore ai 110 km orari, che se no producono lo stesso effetto di una montagna ferma sulla strada.
Diteglielo voi, che io se scendo dalla mia macchina finisce che faccio a botte.

martedì 10 novembre 2009

Sulla strada a camminare

Se c'è una cosa che mi piace proprio, sono le persone di cultura medio bassa quando si accostano, con timore reverenziale e ardimentoso coraggio, alla lingua italiana. Loro lo sanno di non sapere tutto - a differenza di molti saccenti di cultura medio alta, che la lingua italiana la ignorano comunque, però non lo sanno. O fanno finta, di non saperlo. O lo sanno, e non gliene importa nulla.
Le persone che invece non hanno studiato le usano con rispetto, le parole; ed è una cosa meravigliosa. Dovremmo averlo tutti, sto rispetto. Oltre al rispetto, alle volte hanno pure abbastanza coraggio da ardire la scalata verso la vetta del linguaggio forbito. In questo caso si aprono orizzonti infiniti di divertimento.
Che stamattina camminavo a piedi lungo una strada di una cittadina di montagna; dunque una strada irta, che piega a gomito. Una di quelle strade che in Salento non esistono, per intenderci. Su questa strada si era rotto un tombino, e camminando mi sono imbattuta in un gruppo di operai addetti, i quali armeggiavano con pale, secchi, calce. Ho cercato di mantenermi il più possibile stretta al bordo, posando i piedi sui tratti meno fangosi; ero tutta concentrata in questa operazione di scansamento acque fognarie, quando uno dei suddetti operai ha ritenuto opportuno avvisarmi che il resto della strada era interdetto al passaggio anche pedonale. Lo ha fatto rivolgendomi questa domanda: "dovete trapassare"?
Devo aver assunto un'espressione quantomeno sgometa, perché l'operaio premuroso ha subito aggiunto: "no perché la strada sopra è interrotta".
Certo: passare + sopra = trapassare.
Io dovevo fermarmi prima, per mia fortuna. Tutti prima o poi dobbiamo trapassare, ma non era mia intenziona farlo proprio stamattina, il trapasso.


lunedì 9 novembre 2009

Quanti anni hai stasera

Non so voi, ma nel mio calabro paese la gente nutre un bisogno quasi maniacale di sapere i fatti tuoi. Quindi, chi ti incontra non sfugge alla preziosa opportunità di attingere direttamente alla fonte, e ti chiede. Ma qualunque cosa, ti chiede. Senza esclusione di colpi.
Sicché questa sera ero in giro con la mamma, si doveva comperare una moka; dunque ci siamo recate dal caffettieraio, che se ne stava tutto lieto nel suo meraviglioso negozio con la moglie. In questo negozio del mio paese, la gente ci va principalmente per fare le liste di nozze. Con me l'hanno ormai capito che non ne fanno, liste di nozze - ma l'hanno capito solo dopo avermelo chiesto per quindici anni, che ogni coltello o bicchiere che dovevo comperare mi svegliavo la notte prima al suono delle loro voci che domandavano, assetate di sangue "vi dovete sposare?" -
Ora le domande sono altre. Le quali, tuttavia, denotano scarsa percezione del tempo da parte del suddetto caffettieraio e della sua leggiadra signora. Perché, se per quindici anni hai creduto che mi dovessi sposare, o supponevi mi sposassi a tre anni, oppure adesso tanto pulzella non sono più. Osservazione che è mancata, ai caffettierai. Dopo che la mamma e io abbiamo scelto sta moka, infatti, mentre il marito faceva scontrini e pacchi, la moglie ha assunto questa serafica espressione da donna che sta per domandare, si è riempita i polmoni di fiato, e ha proferito la seguente richiesta: - devi andare all'università? -
A quel punto io sono stata felice. La signora mi aveva appena tolto dieci anni; anche qualcosa in più, a voler essere matematici. Ed è stata forse la prima volta che sono stata lieta di rispondere agli interrogatori delle dame inquirenti nel paesello mio che sta sulla collina.
Successivamente, cioè dopo aver acquistato la moka dell'eterna giovinezza, bisognava rinnovare la tessera ACI (femmina che guida, sono io!) e il rinnovo si fa presso l'autoscuola dove ho preso la patente. Quando ci andavo, quindi, avevo più o meno l'età che mi aveva attribuito la caffettieraia, che sono circa dieci anni meno di adesso - qualcosa in più di dieci anni, sempre a voler essere matematici.
La scuola guida, com'è naturale, brulicava di giovani automobilisti che stavano lì per patentarsi, tutti freschi freschi. Io però mi sentivo ganza, pensando che cavolo, non li dimostro mica tutti sti anni più di voi, 'a pischellini! Stavo lì ad attendere pazientemente il mio turno, trastullandomi sulla vanagloria dell'eterna gioventù, quando si avvicina il tizio che mi ha dato la patente. Viene verso di me con enfasi, richiamando l'attenzione di tutti.
- Ma sei proprio tu! Sono molto felice di vederti! Beh, ne è passato di tempo da quando hai preso la patente...quanto, dieci anni? -
Addio sogni di gloria. Quando sono uscita mi sono specchiata nella vetrina col timore di ritrovarmi tutti i capelli bianchi, improvvisamente. Che passa in fretta il tempo.

Quell'unico antico maledetto muro

Vent'anni dalla caduta del muro di Berlino. Fine della guerra fredda, fine del regime comunista, inzio dell'amicizia fra le due potenze. A sentirli oggi - Bruno Vespa in testa splendidamente avvolto in un cappotto scuro con sciarpa annodata attorno al collo che fa tanto Silvio - sembra che vent'anni fa siano iniziate contemporaneamente tutte le "magnifiche sorti e progressive".
Perché a me viene in mente la canzone di Fossati?
Sarà che l'anima della gente non ha imparato a dire ancora un solo sì. Credo che ce l'abbiamo ancora intatto nella testa quel maledetto muro.

mercoledì 4 novembre 2009

Nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento

Ora io non vorrei fare la parte di quella che ripete sempre prima era meglio. Che l'età ce l'ho e il rischio di trasformarmi in vecchia zitella nostalgica dei tempi passati è alto.
Però ci sono alcune cosa che veramente prima erano meglio.
Prendiamo la cartaigienica, per esempio.
Quella - non voglio fare pubblicità occulta - sponsorizzata dal piccolo labrador. A dire il vero questa scelta di marketing a me non mi ha mai convinta: cioè, l'associazione cane/deiezione mi turba, sinceramente. Ma diciamo che il prodotto lo trovo di qualità. Orbene, il rotolo di quella cartaigienica lì un tempo era lungo, resistente e morbido. Caratteristiche, queste ultime due, fondamentali perché il suddetto prodotto svolga al meglio la sua specifica funzione: una carta dura è sgradevole, non parliamo di una carta poco resistente! No, non si possono modificare morbidezza e resistenza.
Fino a poco tempo fa, però - ecco la vecchia zitella che si inacidisce - i rotoli del labrador erano anche lunghi. Che comperavi un pacco e stavi tranquilla. Adesso sono tutti buco. E non mi riferisco a quello scurrile, che sono una signora, io: la quantità di carta arrotolata attorno al perno è sempre meno. Settimana dopo settimana, i pacchi che compri si assottigliano. E lo consumi troppo velocemente, adesso, un rotolo.
La cartaigienica sta diventando una voce di spesa pesante, nel bilancio mensile.
Poi, dopo aver fatto ste riflessioni qua, capisci proprio che c'è, la crisi. Altroché.

lunedì 2 novembre 2009

Ottimismo

L'amichetta mia dice che svolteremo.
Adesso io credo che la svolta migliore sia quella di prendere tutto con leggerezza.