venerdì 22 aprile 2011

Ecco l'Agnello di Dio

Il quadro raffigurava un Cristo appena tolto dalla croce. Mi sembra che i pittori abbiano preso l'andazzo di raffigurare il Cristo, sia crocifisso, sia deposto dalla croce, con un volto sempre ancora soffuso di straordinaria bellezza: una bellezza che essi cercano di conservargli anche fra i più orribili strazi. Nel quadro di Rogozin, invece, di bellezza nemmeno la traccia: era in tutto e per tutto il cadavere di un uomo che ha patito infiniti strazi ancor prima di venire crocifisso: ferite, torture, percosse delle guardie, percosse del popolo mentre portava la croce e quando cadde sotto il suo peso; e infine, per sei ore (secondo il mio calcolo, almeno) il supplizio della crocifissione. E' vero che il viso era quello di un uomo appena tolto dalla croce, e cioè conservava in sé molto di vivo, di caldo; nessun tratto aveva avuto il tempo di irrigidirsi, tanto che sul viso del morto traspariva anche la sofferenza, come se egli la sentisse tuttora; quel viso però non era stato risparmiato per nulla: era la natura stessa [...]
Ma, cosa strana, mentre guardi quel corpo di uomo straziato, ti sorge in mente un singolare e curioso quesito: se tutti i Suoi discepoli, i Suoi futuri apostoli, le donne che Lo seguivano e che stavano presso la croce, e tutti quelli che il Lui credevano e Lo adoravano, videro realmente un cadavere in quelle condizioni, come mai poterono credere, contemplandolo, che quel martire sarebbe risorto? Involontariamente viene fatto di pensare:  se la morte è così orrenda, e se le leggi della natura sono così forti, come fare a vincerle? Come vincerle, se non ne trionfò nemmeno Colui che in vita Sua trionfava anche della natura, Colui che ordinò Talitha cum! e la fanciulla si levò, Lazzaro, esci fuori! e il morto uscì fuori? [...]
E lo stesso Maestro, se, alla vigilia del supplizio, avesse potuto vedere la propria immagine, sarebbe Egli salito sulla corce e sarebbe morto come morì? [...]
La vita eterna io l'ammetto e, forse, l'ho sempre ammessa. Che la coscienza si sia accesa in noi per la volontà di una forza superiore, abbia gettato uno sguardo al mondo circostante e abbia detto: IO SONO, e che poi tutt'a un tratto quella stessa forza suprema le ordini di annientarsi, perché così è necessario lassù per qualche scopo - e anche senza spiegare quale - tutto questo io l'ammetto, ma ecco di nuovo l'eterna domanda: che bisogno c'è, oper giunta, della mia rassegnazione? Non mi si può divorare semplicemente, senza pretendere da me delle lodi a chi mi divora? [...] è molto più logico supporre che semplicemente ci sia voluta la mia insignificante esistenza, la vita di un atomo, per completare chi sa quale universale armonia del tutto, a quel modo stesso che ci vuole ogni giorno il sacrificio della vita di milioni di esseri, senza la cui morte il resto del mondo non potrebbe durare [...] che importa a me che nell'assetto del mondo ci siano errori e che altrimenti esso non possa sussistere? Chi duqnue, dopo tutto questo, mi giudicherà e per quale colpa?

Fedor Dostoevskij, L'idiota

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