lunedì 30 maggio 2011

Quanto piccolo è il suo cuore e grande la montagna, quanto taglia il suo dolore più di un coltello

Io non amo particolarmente leggere le recensioni dei libri. Credo che la lettura, come ogni forma di fruizione dell'arte, sia un'esperienza estremamente soggettiva: se serve a suscitare emozioni, le emozioni di un altro possono essere un pregiudizio. Però leggo con carnale passione, e una mia amichetta cara mi ha chiesto di dedicare qualche Pensiero Superfluo ai libri che leggo. Mi è sembrata una buona idea. Non saranno recensioni, solo quello che potrei dire di un libro davanti ad un bicchiere di vino.
Balzac e la piccola sarta cinese è un libro che ci hanno fatto pure il film, perché Dai Sijie, il tizio che l'ha scritto, è anche regista. Questo libro qua è il primo della letteratura cinese che mi sia veramente piaciuto. Non che abbia letto molto, di nipponico. Cinesi, Giapponesi, pregiudizialmente li evito. Perché mi sembrano troppo asettici, di scarse emozioni. Invece la piccola sarta cinese è un personaggio che, in punta di piedi, con leggerezza e soavità da fiore di ciliegio, ha squarciato la mia fantasia letteraria. Credo che la ricorderò sempre.
Una ragazzina di cui non sappiamo il nome. La sua prima comparsa la fa per le sue scarpe: portava un paio di scarpe color rosa pallido, di una tela robusta e morbida a un tempo, attraverso la quale si potevano seguire i movimenti delle dita dei piedi ogni volta che premeva il pedale della macchina per cucire. Delicatezza e forte sensualità, questo piedino.
La Piccola Sarta è il sogno proibito di due ragazzini cinesi, figli di medici intellettuali, cui il regime comunista degli anni Settanta ha imposto la rieducazione. Non andavano bene, al nuovo spirito comunista, i borghesi intellettuali. I contadini, andavano bene. Con la loro silenziosa operosità e robusta obbedienza. E allora i ragazzini che stavano nelle scuole, o che erano figli di personaggi contrari al regime, venivano sottratti alle loro famiglie, case, abitudini, e costretti a vivere nei villaggi sperduti delle montagne assieme ai contadini. Per imparare da loro il nuovo spirito cinese.
I due protagonisti della storia incontrano la Piccola Sarta nel villaggio della loro Rieducazione, e naturalmente se ne innamorano entrambi. Amicizia, amore, rivalità, onestà, ci sono tutti gli ingredienti del romanzo di formazione. Ma su tutto dominano i libri. Oggetti proibitissimi dal regime. Che però i due ragazzi riescono a rubare dalla valigia di un loro collega di rieducazione. Perché non possono vivere, senza. Stregati dalle pagine dei romanzieri francesi, è alla Piccola Sarta che dedicano tutti i racconti, e le emozioni, e le vendette, e gli amori che trovano in quelle pagine.
La ragazzina sembra solo un'affascinante proiezione delle loro fantasie. Vive poco, di vita propria. Se ne parla solo e sempre dal punto di vista degli innamorati pischellini rieducati. E questi due, un po' per fare colpo su di lei, ma anche per dare un senso alto alla loro permanenza nel villaggio, maturano l'amizioso progetto di fare della Piccola Sarta una donna colta e raffinata, attraverso le letture. Ma lei resta sempre il termine passivo di desideri, pensieri, discorsi, letture degli uomini.
Fino a quando, un giorno, la Piccola Sarta Cinese scompare. Nessuno la trova più. Il padre infuriato va a cercarla nella capanna dei suoi due amici. Ma quei due non lo sanno, dov'è. Partono in una folle corsa all'inseguimento della loro amata. La raggiungono. Le parlano. Non leggiamo le battute che si scambiano. Solo, nell'ultima scena, vediamo le sue magre spalle che si voltano per proseguire la strada. Ed è sempre con le parole dei maschi che il romanzo si chiude: Mi ha detto che Balzac le ha fatto capire una cosa: che la bellezza di una donna è un tesoro inestimabile.
Così la Piccola Sarta Cinese, con le sue scarpine rosa, si ribella. Se ne va. E' la sola che ha veramente sentito quello che c'era scritto nei libri. Potere che nessun regime può arginare.

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