giovedì 24 febbraio 2011

Che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco

Ci sono delle circostanze, nella vita, in cui ti comporti in maniera stronza. Non lo fai apposta, cioé sei stronza senza averci pensato prima. Il che, credo, sia ancora peggio dell'essere stronzi in maniera premeditata.
Ed è per questo che vorrei chiedere scusa alla commessa del negozio di scarpe in cui sono stata ieri.
Lei non leggerà mai questo blog.
Ma la potenza delle parole supera i limiti che noi immaginiamo di aver dato alla nostra affabulazione. Le parole sanno andare oltre il tempo e sanno vincere lo spazio.
Allora, magari, chissà.
Ecco. Io ieri sono entrata in un negozio di scarpe di una catena spagnola che prediligo. Non  avevo intenzione di acquistare. O meglio, non era un'intenzione che avevo dichiarato a me stessa; ma forse mi sono presa un po' in giro. Dunque, entro perché il punto vendita stava proprio sulla via che stavo percorrendo: aveva un'ampia vetrina, luminosa e seducente. Come oltrepassarla.
Una volta all'interno del negozio, inizio a vagare senza una meta. Visto che ero lì solo per guardare. Oltre me, non c'era nessun altro cliente. Solo questa commessa carina, bruna, con i capelli raccolti e gli occhiali, una sciarpa verde scuro avvolta attorno al collo. - Posso esserle utile?- mi fa. Io le ho candidamente risposto che non avevo idea di che scarpe comperare, ma che mi sarebbe piaciuto comperarne un paio. E mentre pronunciavo queste parole, sono stata io stessa informata della mia mutata posizione. Mi ero dunque trasformata da una che guarda in una cliente. 
La commessa gentile, che sapeva anche fare molto bene il suo lavoro, inizia a farmi le domande del caso: - Le servono per qualche occasione particolare? Ha preferenze di colore? Vuole vedere la nuova collezione o i modelli invernali?- Io non ce le avevo le risposte a tutte quelle seducenti domande, e mi sono lasciata condurre nella scelta. La signorina paziente mi mostra questo paio, e quell'altro, questo colore ma anche la versione in nero se preferivo andare sul classico, va a vedere in magazzino se di quel modello invernale c'è rimasto il mio numero. Si prodiga. Fino a che non entra altra gente in negozio, e lei mi dice cortese: - Mentre ci pensa, servo gli altri signori -, che ci stava tutto considerando la mia lenta indecisione. Però è stato un errore diplomatico. Perché la cliente indecisa, lasciata sola a se stessa, si è ritirata a vantaggio della parte più saggia di me che mi ha ripetuto: non sei qui per comperare, esci subito da questo negozio. L'esorcismo funziona. Torno in strada.
Continuo a camminare, con il naso per aria a guardare le superbe facciate dei palazzi di Roma. E ogni tanto mi tornavano in mente le scarpine, però. Pericolose.
E comincio a pensare alla primavera che si avvicina, a quando metteremo da parte gli stivali. Così, tra una fontana e un portico, arrivo alla conclusione che quelle scarpe lì mi erano proprio piaciute, e magari un giorno ci torno e le compro.
E' stato lì che è successo l'irreparabile. Un altro punto vendita. E le scarpine senza le quali oramai avevo deciso di non poter vivere erano lì, a fare bella mostra di sé da quest'altra vetrina. Allora sono entrata, con chiaro stupore del commesso, e ho detto: - Voglio quelle scarpe lì!- Così le ho comperate. Dopo aver usufruito di dieci minuti di lavoro e professionalità di un'altra persona che, per quanto non fosse impresa ardua, mi aveva comunque convinto a comperarle.
Gentile commessa bruna del negozio di via del Corso, sono una stronza. Lo so.
 

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