sabato 25 maggio 2013

Il nome mio nessun saprà

Da quando insegno, sono diventata intollerante alla presenza di bambini fuori da scuola. 
E' come portarsi il lavoro, che ne so, in pizzeria o in spiaggia. 
E' stato quindi con malcelato fastidio che, qualche giorno fa, ho accettato il tavolo propostoci dal nostro ristoratore savonese preferito, tavolo accanto al quale era seduta un'allegra famigliola così composta: uomo di colore bourdeaux, donna con i sandali, bimba maggiore femmina, bimbo minore maschio su un monopattino che vagava per la sala. Per calmare le sue intemperanze, la mamma lo chiama: Kevin, vieni a sederti e non fare baccano.
Kevin. Unito al colorito dell'uomo che era con loro, l'esoticità del nome ha destato in me la curiosità sulle origini dei nostri vicini di desco. Forse turisti del nosrd Europa, il cui capofamiglia abituato ad altre latitudini ha preso fuoco appena visto due raggi di sole?
Poi no. Erano italiani. Decisamente.
La bimbetta continuava a chiamare il fratello. Ho concluso la mia indagine conoscitiva sentenziando a Paolo:
- Anche la sorellina lo chiama Kevin.
Ora, io ho i pensieri spesso sconnessi con le parole e coi gesti. Ma non credo di essere una demente. E' solo che penso a così tante cose insieme, che quando proferisco parola può capitare che non somigli più a quello cui sto pensando; ma anche che non somigli a nulla di coerente o logico. 
Il mio uomo ride. Mi piace credere che rida con me e non di me. Tuttavia, cos'altro poteva rispondermi se non:
- Se si chiama Kevin, come vuoi che lo chiami?

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