lunedì 27 maggio 2013

Femmena, tu si na mala femmena

A tutte le donne.
A tutte le donne calabresi.
Non sentitevi insultate se una donna, fosse anche una sola, denuncia di aver subito trattamenti discriminanti e in qualche modo violenti solo per il fatto di essere donna.
Oggi c'è una di noi che è stata uccisa dal ragazzo che, anche solo per un giorno, ha creduto di amare. E c'è una donna che ha lasciato la sua terra perché ha subito discriminazioni di genere. Questo non vuol dire che le vostre storie non siano bellissime e sane, se ve ne sentite escluse. Siete fortunate. Ma il problema c'è. Se anche solo due persone lo denunciano, il problema deve diventare di tutti perché lo si risolva.
Il problema della violenza sulle donne in quanto donne c'è.
C'è da secoli. Ed è penetrato negli strati più profondi del nostro essere donne. Tanto che, forse, facciamo fatica a vederlo. 
Ma, vi chiedo, fermatevi a pensare. Nel profondo. So perfettamente, non avete idea di quanto bene lo so, che toccare le ferite profonde è molto doloroso. E crea una reazione di negazione e fuga. Ma, per un momento, trattenete il respiro. E pensate.
Pensate a tutte le volte che, tornando dal lavoro, stanche come stanco è il vostro uomo al ritorno da lavoro, gli avete detto o anche solo pensato: riposa, ci penso io.
Una volta è amore, se la volta dopo lo farà lui. Altrimenti è obbedire a un archetipo che ci vuole sottomesse.
Pensate a tutte le volte che leggiamo di donne uccise dai loro uomini. Se anche solo una volta abbiamo sentito una sottile e remota voce ripetere: lei chissà cosa aveva fatto. Se l'abbiamo sentita, obbediamo a un archetipo che ci vuole sottomesse.
Pensate a quando fate l'amore. A quante volte raggiungete l'orgasmo e con quanta facilità riuscite a chiedere al vostro partner ciò che desiderate. Se non ci riusciamo con facilità, obbediamo a un archetipo che ci vuole sottomesse.
Pensate a cosa avete provato nel leggere questa mia considerazione. Io, scrivendola, mi sono sentita una donna dai costumi lascivi. Se lo stesso, pur generoso e ammiccante giudizio, è venuto in mente a voi,  obbediamo a un archetipo che ci vuole sottomesse. 
Pensate alle parole. L'uomo che corteggia più donne è un dongiovanni. La donna, se anche solo ad un certo punto decide di lasciare il proprio uomo per un altro, è una troia. O zoccola, o puttana. Numerose sfumature di una parola che non è certo lusinghiera e seducente come il corrispettivo maschile. Se non ci viene in mente nessuna parola che sia la versione maschile di troia, puttana o zoccola, obbediamo a un archetipo che ci vuole sottomesse.
Hanno deciso che la donna, discendente di Eva, porta con sé il peccato del mondo. Hanno deciso che all'uomo spetta la gloria, mentre alla donna il calore del focolare. Hanno deciso che il corpo della donna è funzionale alla procreazione. Questo ci portiamo dentro.
Per quanto emancipate, libere, progredite, colte e combattive possiamo essere.
Certo, ognuna a suo modo. Con la diversità delle storie di ognuna. Con la specificità geografica che, a mio parere, è anche significativa. Ma non possiamo negare di discendere da questi archetipi.
E se anche una sola di noi è vittima di un trattamento di violenza che ci ha accomunato, non dovremmo reagire con aggressività. La nostra dignità non la affermiamo demonizzando la donna che chiede aiuto perché si sente debole. Se anche lei, chiedendo aiuto, si accomuna a noi, tendiamole il nostro abbraccio. Questa volta si, materno. Perché il grembo accogliente, caldo e protettivo, noi l'abbiamo.
E allora, accogliamo, riscaldiamo e proteggiamo questa sofferenza. Delle nostre antenate. Delle nostre contemporanee. Di quella parte di noi stesse che, forse, un pochino, di questo soffre ancora. Siamo madri della bellezza dell'essere donne. Difendiamola. Insegnamola ai nostri uomini. Che ci amano.
I nostri padri, i nostri mariti, i nostri giovani fidanzati, i nostri fratelli, ci amano. Ma spesso non sanno fare altrimenti. Insegnamoglielo noi. Con dolcezza, femminilità, senza voler essere come loro. E senza sentirci accusate, infastidite, aggredite da chi dice che le donne sono sottomesse. Dobbiamo imparare nuovi ruoli, perché abbiamo la fortuna di non vivere più, noi donne calabresi, per esempio, in un posto che ci tiene chiuse in casa e zitte a impastare il pane. Però ne abbiamo di ferite da curare. Di strada da fare. Di muri da abbattere ancora. Non possiamo negarlo.
Secondo me, possiamo farlo solo se saremo donne. Profondamente. Con la delicatezza che solo noi sappiamo avere. Con la forza che solo noi possiamo generare. Secondo me possiamo farlo solo se davanti a chi denuncia un problema non ci sentiamo inquirenti, ma grembo. Accogliente. Protettivo. Forte. 
Finché una sola donna, in qualsiasi parte del mondo, sarà uccisa perché donna, il problema non è altrove. Ma mio. Tuo, forse. Nostro, magari. Mio sicuramente. 
Francesca

2 commenti:

  1. Mi accomuno al tuo pensiero. Fin quando nel mondo una qualsiasi donna sentirà che il problema (e l urlo) di un altra donna è anche suo, significa che siamo cresciute. Che siamo veramente donne, madri, compagne.. Grazie francesca.maria marino, 32 anni, corigliano calabro

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  2. Hai dato parola al mio pensiero. Che è pensiero di uomo vicino alla donna ferita, uccisa, demonizzata perchè spaventata. Vicino alla Donna. Vicino all'Umanità che tanto amo.

    Ti conosco da anni, ma vorrei averti conosciuta prima come ti conosco ora.

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