lunedì 17 maggio 2010

Questo domani non c'è mai

- Sono stato bene -
- Anch'io -
- Mi piacerebbe rivederti -
Questo più o meno era il buon vecchio dialogo fra due che uscivano insieme. Oggi la terza battuta non la puoi più dire, perché apre un prosieguo di interazione che nella maggior parte dei casi non puoi sostenere. Del tipo:
- Molto volentieri -
- Quando? -
Ecco. Tu non lo sai dove sarai domani, nè sai per quanto tempo ci resterai. Allora le relazioni sono ponti sospesi, arcobaleni a metà, dialoghi tronchi.
- Sono stato bene -
- Anch'io -
Ed è il massimo di fortuna che possa capitarti. Solo temporaneamente.

'A livella

Al paesello mio dal profumo di zagara c'abbiamo questo sindaco donna. Che è giovane e bella.
Lei è esponente di un partito che io no, proprio non sono di quel partito.
Ma non voglio parlare di politica in questo momento.
L'ho vista che presenziava ad una processione liturgica.
Ma non voglio parlare nemmeno dei rapporti fra chiesa e politica.
Quello che voglio dire è che il sindaco giovane e bella è sempre molto elegnate e generalmente indossa dei tacchi altissimi. Io quando l'ho vista in quel contesto in cui, al di là delle ideologie, si camminava, a me mi è dispiaciuto saperla su quei suoi soliti tacchi altissimi.
Poi invece aveva delle scarpe coi lacci.
E sono stata contenta per lei. E gliel'ho detto.
Perchè io sarò pure comunista, ma camminare tanto sui tacchi è una di quelle esperienze che rendono tutti uguali, senza distinzioni di sorta.

Non ti ho detto che profumi di erba falciata

Ci sono delle persone che poi a te ti viene la pace nel cuore, quando ci parli. Profumano di pulito. E hanno gli occhi che ridono. Si dovrebbe passare molto tempo insieme a persone così.

sabato 15 maggio 2010

Oceano mare

Ognuno a suo modo, ma tutti continuerebbero a raccontare di quei due e di un'intera notte passata a restituirsi vita, l'un l'altra, con le labbra e con le mani, una ragazzina che non ha visto nulla e un uomo che ha visto troppo, uno dentro l'altra - ogni palmo di pelle è un viaggio di scoperta, di ritorno- [...] chi l'avrebbe mai detto che baciando gli occhi di un uomo si possa vedere così lontano - accarezzando le gambe di una ragazza si possa correre così veloce e fuggire - fuggire da tutto - vedere lontano - venivano dai due più lontani estremi della vita, questo è stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati, e invece nemmeno si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano [...] perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi, mai - lontani abbastanza - per trovarsi - lo erano quei due, lontani, più di chiunque altro e adesso - grida la voce di Elisewin, per i fiumi di storie che forzano la sua anima, e piange Adams, sentendole scivolare via, quelle storie, alla fine, finalmente, finite - forse il mondo è una ferita e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano - e nemmeno è amore, questo è stupefacente, ma è mani, e pelle, labbra, stupore, sesso, sapore - tristezza, forse - perfino tristezza - desiderio - quando lo racconteranno non diranno la parola amore - mille parole diranno, taceranno amore - tace tutto, intorno, quando d'improvviso Elisewin sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare, stringe quell'uomo dentro, gli afferra le mani e pensa: morirò.
Sente la schiena spezzarsi e la mente sbiancare, stringe quell'uomo dentro, gli afferra le mani e, vedi, non morirà.

A. Baricco, Oceano mare

Io che non vivo più di un'ora senza te

Ci sono delle persone che si amano molto. Si amano così tanto da non riuscire a separarsi mai. Nemmeno nelle foto.
Nemmeno nelle foto del profilo di facebook.
Certo, a me questo genere di smancerie danno fastidio per via dell'atteggiamento da zitella che ormai ha raggiunto tassi di acidità notevoli.
Però.
Che motivo c'è di mettere in un piccolo quadrato che dovrebbe avere la funzione di identificarti, una foto di coppia? Come se si usasse una foto del matrimonio per la carta d'identità.
Voglio dire, se Pinco Pallino sono io, perché ci deve stare pure la mia amata Pinca Pallina accanto a me? Che poi il quadratino del facebook è piccolo, e finisce che uno non riconosce nessuno dei due innamorati pazzi. Io quando guardo quelle foto lì, mi sento un po' mancare l'aria.

Andamento lento

Nonostante oggi sia metà maggio, la primavera ha deciso di prendersi una pausa. Così oggi piove. Piove con vento freddo e nuvoloni grigi in tutto il nostro bel sudditalia.
Che quaggiù noi non ci siamo affatto abituati, a questo genere di rivolgimenti climatici improvvisi e tumultuosi. Temiamo di essere biodegradabili. Quando piove forte, perciò, preferiamo non uscire.
E si doveva decidere se fare o meno un'uscita, questo pomeriggio. Con il blu che si prendeva gioco di noi, alternando sprazzi di azzurro sole a raffiche di gonfia pioggia. Alla fine, com'è ovvio per dei meridionali, si è deciso di rimandare l'uscita. Ma la cosa bella, bella davvero, è stata che mentre si decideva il da farsi siamo rimasti a guardare il cielo. E aspettare.
Aspettare se sarebbe stata più pioggia o più sole. Aspettare scrutando gli angoli più lontani che si coprivano di grigio. Aspettare inoltrandosi lungo quel declivio che magari da lì la visuale dell'orizzonte poteva essere più ampia.
Aspettare il ritmo del cielo e adeguarsi all'andamento del tempo.
Saggezza antica di quando non si aveva fretta. E il cuore batteva al ritmo lento di un giro di pioggia.
Se recuperassimo la capacità di andar piano, sono sicura che si starebbe meglio. Parecchio meglio, in questo piccolo mondo. Così determinato da una pioggia improvvisa, che guardare le stelle potrebbe essere la nostra sola preoccupazione.

mercoledì 12 maggio 2010

Percorreremo insieme le vie che portano all'essenza

Vedere l'essenziale e perseguirlo è, io credo, una virtù.
Personalmente, so di non possederla. Che io mi perdo dietro le sfumature, mi chiedo sempre se una parola possa avere un altro significato, se un gesto non debba essere interpretato con una lettura meno immediata. Insomma, sono una palla. Se proprio la vogliamo dire tutta.
Per fortuna al mondo c'è gente che sa individuarlo velocemente, l'essenziale. Tipo quelli che ti chiamano in chat su fb e ti chiedono quasi subito: sei single?
Ecco, io la ammiro questa gente qua.
E' solo che, essendo invece donna arzigogolata, prediligo chi usa le parole in altro modo.

Senza andata nè ritorno

Come quando ricomponi un puzzle, e le tessere sono tutte sparpagliate sul tavolo. Ne trovi una dalle forme combacianti e i bei colori. La sollevi, la guardi bene per distinguerne le sfumature. Credi che andrebbe bene per completare quel vuoto nell'angolo esterno del puzzle.
Però poi ti ricordi che non ce l'hai, il puzzle. E' un mosaico senza contorni. Sono tessere sparse.
E resti con quel frammento in mano, silenzioso. Forse inutile.

lunedì 10 maggio 2010

Tu chiamale se vuoi emozioni

Cose per cui mi emoziono:
1) Il mare
2) Elena
3) Il primo bacio
4) Annusare un libro
5) La musica suonata dal vivo
6) La Compagnia della piccola luna
7) Il finale del musical Pinocchio
8) L'amicizia che vince il tempo
9) Le sorprese

E corre corre corre la locomotiva

Gli uomini calabresi sono premurosi con le loro donne; siano esse mogli, fidanzate, o figlie. Il che fa pure piacere, che poi noi femminucce amiamo essere coccolate, protette, insomma ci piace l'uomo premuroso.
Gli uomini calabresi, però, forse credono che le donne siano leggermente più stupide di loro stessi. Il senso di protezione allora diventa eccessivo, come quando ti preoccupi di qualcuno che senza di te non potrebbe mai farcela.
E' assolutamente falso che la donna non può farcela senza l'uomo.
Per esempio, quando esci di sera con poco disel nel serbatoio dell'auto. L'uomo calabrese la trova una cosa preoccupantissima, tanto da suggerirti di non percorrere molti chilometri, oppure di chiedere a qualche amico (nota bene - amico!) di darti un passaggio.
Io sono capace di risolvere la questione andando al distributore automatico, però.
Ventiquattro ore su ventiquattro.
So farlo esattamente come gli uomini, guarda i casi della vita...

domenica 9 maggio 2010

Sex and the city

- Com'è importante avere un uomo che ti faccia ridere -
- Si -
- Di quelli che hanno la battuta pronta ad ogni evenienza -
- Lo dico sempre anch'io -
- Ma ti deve veramente far ridere -
- Si -
- Non ce ne sono molti, di uomini così -
- No -
- ... -

venerdì 7 maggio 2010

Io non ho paura

Mi capita spesso, parlando di uomini, che le mie amiche mi diano consigli di prudenza - stai attenta - o porgano domande allarmate - e non ti spaventa questa situazione? -
Che poi, magari, la situazione è qualche anno di differenza d'età, o vivere in città diverse. Voglio dire, non ho mai frequentato un serial killer, nè un maniaco sessuale.
Ecco, no.
Degli uomini io non ho paura.
Qual'è la cosa peggiore che potrebbe capitarmi?
Io mi innamoro di lui, lui non si innamora di me.
Beh? A dispetto di quanto dicano poesie e canzoni, nessuno è mai morto per amore. Si soffre, ma poi passa.
Un'occasione persa per paura, è un'occasione persa. Milioni di possibili felicità sacrificate. In una vita così difficile, che ci costringe nella danza sfrenata delle incertezze, perché avere paura di una delle poche carezze che possiamo fare alla nostra anima?
No, io non ho paura, degli uomini.
Può essere che loro abbiano paura di me, a giudicare da come accuratamente mi fuggono. Ma questa è un'altra storia.

giovedì 6 maggio 2010

Saranno famosi

Adesso c'è questa cosa che tutti vogliono andare in televisione. Non importa se fai la politica o la showgirl (cit.), purchè tu possa entrare nella scatoletta magica. Sembra il sogno più diffuso, fra i ragazzini. Accade di conseguenza che il Grande Fratello permei di sè quasi ogni momento della vita quotidiana della gente normale.
Prendete la musica, per esempio. Sia essa espressa come canto, ballo, o strumenti da suonare. E' sicuramente una referenza adatta a portarti in tv. Se canti o balli o suoni puoi fare un provino. E magari finisci dentro una trasmissione specifica (che ce ne sono molte, ho scoperto) in cui, appunto, ti fanno cantare e ballare e poi diventi bravo, e vai a sanremo, e vinci sanremo.
A questo scopo, esistono delle accademie. Che sarebbe la formula aggiornata delle scuole di ballo o di musica, che ti preparano appositamente ai provini. Talent Scuot. Che certe cose le devi dire per forza in inglese, altrimenti non fa abbastanza televisione.
Le porte di questa conoscenza mi si sono aperte l'altra sera, quando in un locale in cui cantava una tizia molto brava ho avuto il piacere di vedere un intero tavolo di allievi di una scuola del genere. Una accademia che ti prepara ai provini.
Io non ve lo racconto come erano, gli allievi di questa accademia. I vestiti che indossavano, la quantità di trucco che avevano sul viso le fanciulle, la trasparenza delle camicie, il colore dei capelli. Non ve lo racconto perché io ho avuto l'impressione che la loro priorità fosse, appunto, mostrarsi. Urlare al mondo: guardatemi, io mi sto preparando ad andare in televisione.
Avevano le fotocamere digitali, e non hanno fatto altro che cercare pose. Per foto da mettere su facebook.
La tizia cantava, accompagnata da due che suonavano. Ma i giovani talenti del futuro non li hanno degnati della minima attenzione.
Io la televisione non la guardo, ma so - per sentito dire e impressioni indelebili nate da casuali e fugaci incontri con il genere televisivo in questione - che avere talento non serve. Che non c'è valore artistico, nella maggior parte di questi talenti diventati poi famosi.
Per onestà, voglio dire che anche io da piccola sono andata a scuola di musica e neppure io ho mai avuto il minimo talento.
Però.
Quando andavo a scuola di musica io, le ambizioni erano suonare la tastiera in chiesa o la chitarra ai falò. Quando andavo a scuola di musica io, ci si innamorava dei maestri e si facevano i saggi, vestiti tutti uguali che sembravano divise fasciste. Quando andavo a scuola di musica io, non c'ra nessuno che ti doveva scoprire. Suonavi, cantavi, o ballavi perchè ti piaceva farlo. Ed eri contento così. E nessuno aveva ancora deciso di comperare le televisioni per stabilire quali devono essere i sogni delle persone.

E tornando la sera dalle gite della scuola

Maggio è il mese delle gite scolastiche.
Che gli alunni trascorrano un intero anno in attesa della settimana in cui non andranno a scuola, ci dice quanto vada sempre di moda il Paese dei Balocchi.
Se vivi in una bella città, Maggio è il mese in cui ti rompi un po' le scatole. Che incontri ovunque ste orde scomposte di ragazzini chiassosi. Compaiono all'improvviso. Un attimo prima è tutto sotto controllo, l'attimo dopo sono ovunque. E' irriverente dire che sembrano formiche? Brulicano. Temi che inizino a salirti addosso facendoti il solletico.
Li incontri la mattina al semaforo. Li trovi la sera davanti ai locali. Urlano. Perché loro hanno tutto il diritto di divertirsi e scoprire la vita. Ma tu ti rompi un po' le scatole, insisito.
Soprattutto, te le rompi, se sei un'insegnante con milioni di titoli nel cassetto, ma non stai al posto giusto. Ovvero sia, a correre dietro alle formiche urlanti. Che non è bello, lo so, ma sarebbe più normale. Invece tu ti trovi ferma al semaforo mentre il gregge di discenti alla scoperta della vita attraversa la strada, seguito da vecchie bacucche professorsse. Con la gonna a quadri di lana, che sono 27 gradi; le scarpe nere col tacchetto, e gli occhiali. E quell'espressione sussiegosa che odora di naftalina.
E allora a me mi sembra di essere ancora alunna, con le professoresse sottovuoto. E mi viene di cantare. Col finestrino dell'auto basso, l'aria nuova di maggio sul viso, canto: noooo, non è Francescaaaaa.

Se tu fossi di ghiaccio e io fossi di neve che freddo amore mio pensaci bene a far l'amore

La passione è il colore nei battiti del nostro cuore. La forza che trasforma i sogni in mani, e la strada in passi. Troppo spesso ne abbiamo paura. Così ci ritroviamo a guardare la superfice di un lago ghiacciato, che è liscia e suggestiva. Ma è fredda. Non pulsa. Ci illudiamo che resti tutto semplice come lo vediamo. Dimenticando che tornerà comunque primavera, e scioglierà il ghiaccio, trasformerà la neve in petali e poi in calde spighe di biondo grano.
Non stringere la passione sotto il lago ghiacciato. Non siamo neve. Ma onde.
Possiamo attraversare il tempo come lui e lei. Li ho visti bianchi, non di ghiaccio e neve, però. Non avevano freddo, loro. Indossavano abiti di un'eleganza ricercata, scuri entrambi. Parlavano a voce delicatamente bassa, dizione puntuale. Nessuna inflessione di stanchezza. Sorridevano. Si guardavano. Lei doveva comperare un paio di nuovi occhiali. Perchè gli anni offuscano la vista. Lui calmo e paziente la guardava mentre sfilava quelli dorati, no troppo grandi. La esortava a riprovare i secondi che hai visto, ti donavano. Lei, lenta e precisa, si avvicinava allo specchio, si osservava meticolosa, poi si voltava verso di lui e gli sorrideva. Ancora seducente. Lui, ancora sedotto, le sussurrava questi ti donano. Avevano addosso un antico profumo. E una passione forte, che non è ghiaccio, che non è neve. Ma calde spighe di biondo grano.

A volte basta una frase

- Amore, un giorno ti accompagno a fare shopping; così ti indico gli abiti che dovresti comperare -
Ecco, se ti piacciono così tanto, quegli abiti, comprateli tu. Magari poi apri il cassetto e li guardi.
Io sono quella che sta dentro, gli abiti.
Ci sono parole che dopo tutto cambia. Devastano giorni di tenerezze. Li spazzano via.

lunedì 3 maggio 2010

Sono un italiano, un italiano vero

La mia maestra delle scuole elementari mi aveva insegnato che il verbo generico Fare e il sostantivo Cosa sono in sé privi di significato; pertanto è utile come esercizio e possibile linguisticamente non usarli mai. Cioè, esiste sempre un verbo appropriato e un sostantivo adatto per non dire: fare una cosa.
Oggi la scrittura impera su tanti supporti che ci permettono di comunicare in tempo reale. Esiste, ad esempio, il T9: una specie di memoria linguistica che ti velocizza nella scrittura degli sms. Codesta memoria linguistica si arrichisce delle parole che comandi di salvare, o che utilizzi più di frequente.
Orbene, il T9 del mio cellulare non riconosce la terza persona del verbo generico. Il T9 del mio cellulare non scrive FA.
Ciò mi riempirebbe di orgoglio linguistico se non fosse che il T9 del mio cellulare, quando digito la F seguita dalla A, lui mi scrive FB. Che è l'abbreviazione da me utilizzata per il facebook.
A questo punto non credo che il non utilizzo del verbo Fare mi renda molto onore. Ohibò.

E come pietra annerirò

Chi ha l'anima fatta di mare, conosce la forza delle tempeste e il delicato soffio di bonaccia. Trasparente come un manto di cristallo, e turbine di bianca spuma.
Chi ha l'anima fatta di mare, ha sorrisi salati e lacrime che riverberano ai raggi del nuovo amore.
Quando il fondale è troppo lontano, gli occhi vedono il vuoto. E ti perdi, la pelle avvolta dalle ombre di quel mare che è dentro di te.

domenica 2 maggio 2010

Tra moglie e marito

...io tendenzialmente sto dalla parte del marito. Forse perché non so essere moglie. O magari dentro me c'è una parte maschile più sviluppata. Non saprei esprimere il perchè di questa naturale inclinazione. Ma è così, che mi viene. Di parteggiare per il marito. Per esempio, poco prima rientravo in casa. All'ingresso del palazzo trovo un marito tutto indaffarato fra buste della spesa, casse d'acqua, e porta da tenere aperta. Se posava a terra le buste che aveva in mano, per aprirsi il portone, forse avrebbe rotto qualcosa. Magari le uova. Ma se non teneva fermo il portone, quello gli si sarebbe chiuso in fronte. Ha usato un piede come ferma porta, e guardava sconsolato la profusione di sacchetti di plastica da cui era circondato.
Il primo pensiero che ho avuto è stato di chiedergli se voleva una mano. Mentre mi interrogavo sull'opportunità di questa mia offerta d'aiuto, lo sento imprecare con decisa contrarietà: mi puoi anche aiutare, no?
La domanda era rivolta alle spalle di una moglie che si stava dirigendo verso l'ascensore, il cui unico contributo era stato, fino a quel momento, accendere la luce delle scale. Al sentire la voce affannata del marito, ella si volta, lentamente, per rispondere: io le porto sempre da sola, le buste della spesa.
A quel punto mi sono resa conto che anche io le porto sempre da sola, le buste della spesa. Più sempre di lei, che in quel momento gliele stava portando il marito. Non avendocelo il marito, io le porto davvero sempre. E, ok: quando sono tante, faccio due viaggi, così evito lo stallo in cui si è trovato quel marito. Ma certe astuzie gestionali le sviluppi col tempo, affinandole dopo anni di singletudine. Questo marito qua, evidentemente, avrà pensato che essendo in due ci si poteva dare una mano.
Invece la moglie, fedele nella gioia e nel dolore, ha voluto vendicarsi in quel preciso momento di tutte le volte che il marito chissà dove sta mentre lei fa la spesa da sola.
Nel sentirla così arrabbiata, mi è anche dispiaciuto. La cosa più opportuna, allora, mi è sembrato farmi agilmente strada fra le buste del pover'uomo, salutare con cortesia, e togliermi di mezzo. Avendo presentito litigi coniugali. E poi io, appunto, tra moglie e marito, prediligo il marito.
Che io lo posso capire una si senta abbandonata da un marito se egli in casa non c'è mai. Però, non è mica bello farlo lavorare come uno schiavo quando c'è. Insomma, se si va a fare la spesa in due, si fanno le cose in due. Altrimenti mandalo da solo. Così almeno, la prossima ragazza gentile che incontra al portone, quel povero disgraziato può farsi aiutare.

sabato 1 maggio 2010

L'abito non fa il monaco

Un tempo si usavano le divise. In alcune parti del mondo, ancora oggi, indossi abiti di un determinato colore per indicare la tua appartenenza a un certo stato, sociale o familare che sia.
L'Italia, come sempre, finge di essere un Paese evoluto e civile. Mentre in realtà non lo è. Ci lustriamo solo la patina esterna di brillanetezza progressista.
Perché l'appartenenza al tuo stato sociale, al tuo orientamento filosofico e politico, tu la mostri con gli abiti che indossi. Coi luoghi che frequenti. Con la gente con cui ti accompagni.
E non c'è possibilità di sbagliare.
Se esci in quella determinata strada, ti fermi a bere in due o tre locali fissi, indossi scarpe col tacco altissimo e borsa con manico corto infilato nell'avambraccio, sei una strafiga. Da lampade, palestra, viaggi. Da superalcoolici colorati nei bicchieroni colmi di ghiaccio. Che poi, domani sera c'è la serata inaugurale della discoteca a mare, ci vediamo lì?, certamente, a che ora? All'una. Perché i fighetti che indossano camicie strette, occhiali da sole alzati sulla testa e orologi preziosi, non escono prima di quell'ora.
Se invece ti piace ritrovarti in quell'altra strada, frequentare i locali in cui c'è dentro gente che suona tarantelle, sicuramente sarai contraddistinto da un bicchiere di caldo vino rosso e indosserai abiti improbabili. Larghi, gonne a fiori sopra pantaloni, bizzarri cappelli. E avrai almeno un cane. Al quale devi dare baci appassionati, altrimenti non sei autenticamente popolare. Ti siedi di preferenza a terra, e non ti devi pettinare i capelli.
Secondo il mio bisbetico parere, queste sono forme di schiavitù.
Modi di imprigionare l'anima della gente.
Tendenze che ti rendono schiavo. Tanto il fighetto quanto lo zingaro.
Perché sentiamo il bisogno di dire agli altri chi siamo, catalogandoci in un ruolo? Non è più bello lasciarsi andare al flusso della vita, prendendo ciò che di bello le persone possono darci? Tutte le persone.
A me piace uscire nei locali fighetti indossando pantaloni larghi, e andare a ballare le tarantelle con la gonna corta.
Secondo me la libertà vera è quando non ti preoccupi di chi o cosa hai intorno, ma vai. Al ritmo della musica.