lunedì 30 maggio 2011

Canzone delle domande consuete

Il modello che gli insegnanti italiani precari devono compilare per non essere inghiottiti per sempre dall'oblio della disoccupazione, è una cosa difficile da affrontare. A parte il carico d'ansia che genera, esso modello è scritto male. Astratto, confuso, privo di informazioni necessarie che trovi solo su note di rimando in allegati secondari. Insomma.
Per fortuna ci sono tutti i siti accessori che ti spiegano come affrontarla, la compilazione. E come tutti i siti del genere, raccolgono le domande più ricorrenti e ti danno la risposta. Io però faccio fatica ad accettare che fra le domande ricorrenti le insegnanti precarie italiane chiedano: chi è sposata, nei dati angrafici, quale cognome deve indicare?

Voi preti che vendete a tutti un'altra vita

Ne ho viste di cose strane, nel paesello in cui ho vissuto quest'anno. Ma la più strana di tutte, giuro, è stata la processione sulla Tuscolana (strada di scorrimento che congiunge direttamente il paesello con la Capitale) alle due di notte. 
Al bordo della strada si vedevano luci lampeggiare. Io guidavo. Ho rallentato, e pensato: cazzo, un incidente. 
Invece no. Era questa processione. Avevano uno stendardo, dei megafoni, e recitavano delle preghiere. Alle due di notte.

Quanto piccolo è il suo cuore e grande la montagna, quanto taglia il suo dolore più di un coltello

Io non amo particolarmente leggere le recensioni dei libri. Credo che la lettura, come ogni forma di fruizione dell'arte, sia un'esperienza estremamente soggettiva: se serve a suscitare emozioni, le emozioni di un altro possono essere un pregiudizio. Però leggo con carnale passione, e una mia amichetta cara mi ha chiesto di dedicare qualche Pensiero Superfluo ai libri che leggo. Mi è sembrata una buona idea. Non saranno recensioni, solo quello che potrei dire di un libro davanti ad un bicchiere di vino.
Balzac e la piccola sarta cinese è un libro che ci hanno fatto pure il film, perché Dai Sijie, il tizio che l'ha scritto, è anche regista. Questo libro qua è il primo della letteratura cinese che mi sia veramente piaciuto. Non che abbia letto molto, di nipponico. Cinesi, Giapponesi, pregiudizialmente li evito. Perché mi sembrano troppo asettici, di scarse emozioni. Invece la piccola sarta cinese è un personaggio che, in punta di piedi, con leggerezza e soavità da fiore di ciliegio, ha squarciato la mia fantasia letteraria. Credo che la ricorderò sempre.
Una ragazzina di cui non sappiamo il nome. La sua prima comparsa la fa per le sue scarpe: portava un paio di scarpe color rosa pallido, di una tela robusta e morbida a un tempo, attraverso la quale si potevano seguire i movimenti delle dita dei piedi ogni volta che premeva il pedale della macchina per cucire. Delicatezza e forte sensualità, questo piedino.
La Piccola Sarta è il sogno proibito di due ragazzini cinesi, figli di medici intellettuali, cui il regime comunista degli anni Settanta ha imposto la rieducazione. Non andavano bene, al nuovo spirito comunista, i borghesi intellettuali. I contadini, andavano bene. Con la loro silenziosa operosità e robusta obbedienza. E allora i ragazzini che stavano nelle scuole, o che erano figli di personaggi contrari al regime, venivano sottratti alle loro famiglie, case, abitudini, e costretti a vivere nei villaggi sperduti delle montagne assieme ai contadini. Per imparare da loro il nuovo spirito cinese.
I due protagonisti della storia incontrano la Piccola Sarta nel villaggio della loro Rieducazione, e naturalmente se ne innamorano entrambi. Amicizia, amore, rivalità, onestà, ci sono tutti gli ingredienti del romanzo di formazione. Ma su tutto dominano i libri. Oggetti proibitissimi dal regime. Che però i due ragazzi riescono a rubare dalla valigia di un loro collega di rieducazione. Perché non possono vivere, senza. Stregati dalle pagine dei romanzieri francesi, è alla Piccola Sarta che dedicano tutti i racconti, e le emozioni, e le vendette, e gli amori che trovano in quelle pagine.
La ragazzina sembra solo un'affascinante proiezione delle loro fantasie. Vive poco, di vita propria. Se ne parla solo e sempre dal punto di vista degli innamorati pischellini rieducati. E questi due, un po' per fare colpo su di lei, ma anche per dare un senso alto alla loro permanenza nel villaggio, maturano l'amizioso progetto di fare della Piccola Sarta una donna colta e raffinata, attraverso le letture. Ma lei resta sempre il termine passivo di desideri, pensieri, discorsi, letture degli uomini.
Fino a quando, un giorno, la Piccola Sarta Cinese scompare. Nessuno la trova più. Il padre infuriato va a cercarla nella capanna dei suoi due amici. Ma quei due non lo sanno, dov'è. Partono in una folle corsa all'inseguimento della loro amata. La raggiungono. Le parlano. Non leggiamo le battute che si scambiano. Solo, nell'ultima scena, vediamo le sue magre spalle che si voltano per proseguire la strada. Ed è sempre con le parole dei maschi che il romanzo si chiude: Mi ha detto che Balzac le ha fatto capire una cosa: che la bellezza di una donna è un tesoro inestimabile.
Così la Piccola Sarta Cinese, con le sue scarpine rosa, si ribella. Se ne va. E' la sola che ha veramente sentito quello che c'era scritto nei libri. Potere che nessun regime può arginare.

All'alba vincerò

Davanti ai problemi tecnici che riguardano ambiti dei quali ignoro totalmente le dinamiche, io ho una prima reazione totalmente illogica: aspetto. Aspetto che magari il problema, come per magia, si risolva da solo.
Sono consapevole che tale miracolosa soluzione ha una probabilità su diecimila di verificarsi. Però io sono scaramantica, e aspetto.
Ora i Pensieri Superflui da più di dieci giorni non funzionavano. Bloccati. La pagina non si apriva. 
Ma prima di disperare e aprire un blog altrove, io ho aspettato. 
Fino a che, senza preavviso né altro segno di cambiamento dello stato di blocco, eccola qui, la pagina. 
Voi non ditelo ai miei alunni ai quali sto spiegando illuminsimo, metodo sperimentale, e manate varie, ma io ci credo, nella magia.

domenica 8 maggio 2011

Non puoi tornare indietro più, nemmeno lo vorresti

Tanti auguri, mamma. Qui dove vivo adesso, il bucato non ha più il tuo profumo di sole. E mi manca fare colazione chiacchierando con te. 
Sono lontano dalla mia mamma, la donna che mi ha partorito, e dall'altra madre, la terra dove sono le mie radici. Anche a lei, oggi, auguri. Che non ci siano più mani avide a strappare i suoi fiori di zagara.
Alle mie due madri auguro tutto il bene. E' solo grazie a loro che sono la donna che sono. Poi, un giorno, sono andata via. E ho trovato la felicità.

Mi fa sentire addosso il tuo profumo

Amare è guardare dall'oblò della lavatrice il tuo bucato nel cestello che gira assieme al suo, e pensare che poi avranno lo stesso odore.

E per quelli che l'ebbero odiato nel Getzemani pianse l'addio

La domenica che precede la Pasqua si chiama Domenica delle Palme. I cristiani ricordano come la folla sia brava a voltare la faccia, quindi l'insegnamento è che non bisogna mai fidarsi della maggioranza. Questi qua, quando Gesù Cristo è arrivato a Gerusalemme, l'hanno osannato come re: drappi, urla, applausi, rami di palme agitati al vento. Gli stessi, dopo manco una settimana, lì a gridare che bisognava ucciderlo; non solo, metterlo in croce. Insomma, le abitudini non sono molto cambiate da allora. 
Ora la Domenica delle Palme si va in chiesa a sventolare i ramoscelli benedetti. Il fedele può portarselo da casa, un rametto, oppure riceverlo all'ingresso della celebrazione. In questo secondo caso è probabile che i devoti addetti alla distribuzione del necessario fogliame chiedano anche un'offerta. Così, per la vigna del Signore.
Anche se tu sei uno di quelli che ci pensa due volte prima di lasciare i soldi per le elemosine, sicuramente non puoi rifiutarti in un contesto simile. E allora prima di ricevere il ramoscello con cui andrai a simboleggiare la folla voltagabbana, apri il tuo portafogli. Ti può accadere un incidente diplomatico del tipo che ti ritrovi solo una moneta da due euro; oltre a banconote. A meno che la tua voglia di carità non sia spavalda, cinque euro per due foglioline di ulivo ti sembreranno indiscutibili, ma anche due, in fondo. Se prendi un rametto piccolo, cinquanta  centesimi sembrerebbe il prezzo onesto; tant'è che potresti anche lasciare una moneta al parcheggiatore al  quale prima avevi solo sorriso. Che due euro sono cinque mila lire del vecchio conio: io da ragazzina ci mangiavo la pizza margherita in pizzeria, con la coca cola. E se anche tu sei uno di quelli che conferisce tale valore alla cinque euro, la Domenica delle Palme ti può quindi capitare di trovarti in un simile frangente.
Senza dare troppo nell'occhio, allora, potresti pensare di lasciare cadere la moneta da due euro nel cestino delle offerte e poi, mentre la pia donna ti consegna il tuo ramoscello, tu, sempre senza dare nell'occhio, potrai provare a prenderti il resto. Se hai pensato di fare questo, ti posso garantire che la tua attenzione nel prenderti il denaro che ti spetta sarà distolta dalla sottile ma pervasiva sensazione che tutti ti stiano guardando. Quindi, per disbrigare l'operazione finanziaria nel minor tempo possibile, afferrerai una moneta di due colori e la più grande moneta gialla senza perdere troppo tempo a rovistare nel cestello. Poi, augurando la buona pasqua ai distributori di palme, ti allontanerai. Con un certo senso di scampato pericolo e di giustizia. Che due euro, per due foglie di ulivo, a te sembrano davvero troppe. Una pizza margherita mangiata in pizzeria; magari senza coca cola, ma vuoi mettere?
Orbene, se hai mai pensato di trovarti in una circostanza simile, sappi che potresti poi scoprire di avere nel portamonete non un euro e cinquanta, come preventivato, ma ben due euro e cinquanta: che nella rapidità con cui hai cercato di espletare l'operazione potresti aver confuso la moneta da un euro con quella da due. 
Se dovesse capitarti una cosa simile, in pratica avrai rubato in chiesa la Domenica delle Palme. E ti sentirai incredibilmente simile a quell'Iscariota lì dei trenta denari sonananti. Per lenire il senso di colpa potresti lasciare tutto l'infame guadagno al parcheggiatore. Oppure andare ad impiccarti a un albero. Jesus Christ, Super Star.

domenica 1 maggio 2011

Alla compagna di viaggio, i suoi occhi il più bel paesaggio

Oggi è una bella domenica di sole. Profumo di fiori, il verde intenso dei viali alberati. Ho visto una vecchina che passeggiava: indossava un paio di occhiali da sole, aveva i capelli bianchissimi e il viso solcato da rughe profonde; avanzava con passo lento e incerto, sostenedosi ad un bastone. Aveva un giacchina viola e una borsa dello stesso colore. E interrompeva i suoi antichi passi per sollevare il viso ai raggi tiepidi di un'altra primavera, che non deve smettere mai di stupirci.
Guardando lei, oggi, ho capito quello che voglio fare da grande.

Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri

"...si è potuto pervenire al rintraccio del cellulare della vittima".
Olè.

venerdì 29 aprile 2011

Noi sudiamo e voi bevete già

Nella mente degli automobilisti romani c'è un unico pensiero, magari articolato in varie forme, ma nella sostanza così riassumibile: piuttosto ti sfascio la macchina, ma non ti faccio passare. 
Saperlo può aiutare.

Di mattino alle tre siamo tutti molto soli

Ora che mi scade il contratto, quelli della mia scuola aboliranno le gite per mancanza di accompagnatori.

giovedì 28 aprile 2011

Punti di forza in tempeste di vento

Dove vanno le cose della vita, quando cambiano?

venerdì 22 aprile 2011

Ecco l'Agnello di Dio

Il quadro raffigurava un Cristo appena tolto dalla croce. Mi sembra che i pittori abbiano preso l'andazzo di raffigurare il Cristo, sia crocifisso, sia deposto dalla croce, con un volto sempre ancora soffuso di straordinaria bellezza: una bellezza che essi cercano di conservargli anche fra i più orribili strazi. Nel quadro di Rogozin, invece, di bellezza nemmeno la traccia: era in tutto e per tutto il cadavere di un uomo che ha patito infiniti strazi ancor prima di venire crocifisso: ferite, torture, percosse delle guardie, percosse del popolo mentre portava la croce e quando cadde sotto il suo peso; e infine, per sei ore (secondo il mio calcolo, almeno) il supplizio della crocifissione. E' vero che il viso era quello di un uomo appena tolto dalla croce, e cioè conservava in sé molto di vivo, di caldo; nessun tratto aveva avuto il tempo di irrigidirsi, tanto che sul viso del morto traspariva anche la sofferenza, come se egli la sentisse tuttora; quel viso però non era stato risparmiato per nulla: era la natura stessa [...]
Ma, cosa strana, mentre guardi quel corpo di uomo straziato, ti sorge in mente un singolare e curioso quesito: se tutti i Suoi discepoli, i Suoi futuri apostoli, le donne che Lo seguivano e che stavano presso la croce, e tutti quelli che il Lui credevano e Lo adoravano, videro realmente un cadavere in quelle condizioni, come mai poterono credere, contemplandolo, che quel martire sarebbe risorto? Involontariamente viene fatto di pensare:  se la morte è così orrenda, e se le leggi della natura sono così forti, come fare a vincerle? Come vincerle, se non ne trionfò nemmeno Colui che in vita Sua trionfava anche della natura, Colui che ordinò Talitha cum! e la fanciulla si levò, Lazzaro, esci fuori! e il morto uscì fuori? [...]
E lo stesso Maestro, se, alla vigilia del supplizio, avesse potuto vedere la propria immagine, sarebbe Egli salito sulla corce e sarebbe morto come morì? [...]
La vita eterna io l'ammetto e, forse, l'ho sempre ammessa. Che la coscienza si sia accesa in noi per la volontà di una forza superiore, abbia gettato uno sguardo al mondo circostante e abbia detto: IO SONO, e che poi tutt'a un tratto quella stessa forza suprema le ordini di annientarsi, perché così è necessario lassù per qualche scopo - e anche senza spiegare quale - tutto questo io l'ammetto, ma ecco di nuovo l'eterna domanda: che bisogno c'è, oper giunta, della mia rassegnazione? Non mi si può divorare semplicemente, senza pretendere da me delle lodi a chi mi divora? [...] è molto più logico supporre che semplicemente ci sia voluta la mia insignificante esistenza, la vita di un atomo, per completare chi sa quale universale armonia del tutto, a quel modo stesso che ci vuole ogni giorno il sacrificio della vita di milioni di esseri, senza la cui morte il resto del mondo non potrebbe durare [...] che importa a me che nell'assetto del mondo ci siano errori e che altrimenti esso non possa sussistere? Chi duqnue, dopo tutto questo, mi giudicherà e per quale colpa?

Fedor Dostoevskij, L'idiota

mercoledì 20 aprile 2011

Il villano che zappa la terra volta la carta viene la guerra

L'italiano è bello perché è una lingua in continua evoluzione. Linguisti come Luca Serianni ci spiegano bene la coesistenza di linguaggio letterario e linguaggio parlato in quello "standard" che utilizziamo noi del Bel Paese per esprimerci e che cambia abbastanza rapidamente.
Ecco, a buon uso di chi passa da qui, un piccolo dizionario aggiornato dei nuovi termini entrati nell'italiano. Nella prima colonna trovate la parola nella sua accezione più antica, nella seconda il termine o la locuzione con cui è stata sostituita:
bocciatura: permanenza
gita: campo scuola
guerra: missione umanitaria/sostegno alle popolazioni
ha detto un sacco di stronzate: non è stato tradotto (tradotto???!!!) bene/il servizio che avete montato è parziale e non rende bene il suon pensiero
lacché: Emilio Fede, Giuliano Ferrara, Augusto Minzolini
licenziamento: contratto a tempo determinato
mantenuta: ministro
non abbiamo fatto nulla per opporci a questo governo: vinceremo certamente le elezioni del 2013
non state rispettando le leggi: monito del Presidente della Repubblica
siamo con le pezze al culo: la crisi è ormai alle porte, la ripresa è veloce
sono un pedofilo: ha detto di avere 24 anni
tagli ai fondi: minori spese

martedì 19 aprile 2011

Quegli occhi allegri da italiano in gita

Quelli di Praga hanno la convinzione, radicata nel loro atteggiamento, che noi italiani siamo cafoni, ladri e imbroglioni. Ora, che possano aver ragione io non lo escludo. Ma che lo affermino trattando il turista italiano in modo scortese, incazzoso, quasi come ti stessero facendo un favore, non è bello.
Allora, cari Praghesi, io vi voglio dire due cose:
Tanto per cominciare, i vostri brodini non si possono guardare, hanno l'aspetto di vomito di neonato e il sapore pure; mentre noi abbiamo una cucina che ce la invidiano tutti.
E poi, secondo, voi eravate comunisti. E noi c'abbiamo un presidente del consiglio che se lo viene a sapere vi fa un culo così.

Seduto in riva al fosso

Cose che fanno gli studenti in gita:
1) Troppo rumore
2) Camminano guardano sul display del loro cellulare o i-pod, oppure parlando con l'amico, oppure ovunque ma non intorno a loro. Sicché potrebbero essere a New York o a Sant'Agata d'Esaro e non notare la differenza
3) Attraversano le strade senza rendersi conto che stanno attraversando una strada
4) Ostruiscono sempre i passaggi: porte automatiche di aeroporti, uscite di metropolitane, sbocchi di scale mobili
5) Si alzano dal tavolo del ristorante con una frequenza di otto ragazzini al secondo
6) Vogliono mangiare sempre e solo da Mac Donald's
7) Dimenticano portafogli e documenti in stanza d'albergo
8) Prendono d'assalto qualsiasi bancarella, disperdendosi dalla fila e dal gruppo, in ogni momento. Quindi comprano regali. Molti regali.
9) Non dormono perché devono andare nelle stanze degli altri
10) Appena arrivati nel loro paesello, dicono: finalmente

Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava all'orizzonte del cielo di Praga

C'avrà ragione, Berlusconi. Che nelle scuole pubbliche la testa degli scolari si riempie di idee comuniste. Io, per esempio, ricordo gli anni del liceo con il calore dei falò sulla spiaggia, una fredda bottiglia di birra in mano, e le chitarre che suonavano quelle canzoni di sinistra. 
Guccini, fra tutti.
Noi leggevamo un sacco di libri, non paghi delle schitarrate notturne. Una roba che le nostre famiglie certamente avrebbero disapprovato, se l'avessero saputo. Infatti si diceva: vado a dormire da Maria. Che voleva invece significare: sto in giro tutta la notte a bere birra e cantare canzoni eversive dell'ordine costituito. Ma c'era quel nome, il nome della tua amica, e la mamma era - o fingeva d'essere - tranquilla.
La primavera di Praga è stata un mito che ha infiammato i nostri sogni di ragazzi. Giustizia, libertà, forza del pensiero, possibilità di cambiare le cose a partire dalla cultura. Tutte idee contrarie alla famiglia, senza dubbio. Un po' come il mito del principe azzurro. Che poi, quando cresci, ti accorgi che ti hanno canzonato, che era più falso di Babbo Natale.
La primavera di Praga, io ci sono stata. Tanto per cominciare, faceva un freddo che quale primavera, non prendiamoci in giro! Poi, i monumenti tutti neri. Loro dicono di averli costruiti con una pietra che non è facile restaurare; e allora, niente pulizia. Ma, cosa peggiore di tutte. La piazza del monumeto a Jan Hus. Quello della canzone. E' solo una statuina decentrata, che se qualcuno non te lo dice tu neppure la noti. Mentre Jan Palach, lo studente simbolo di tutto quanto noi studenti imboniti da insegnanti diabolici avremmo voluto diventare, a Praga gli hanno dedicato solo una lapide. A terra. Rotonda, circondata da fiori. E basta.
Ecco, io glielo voglio dire al presidente del consiglio: tu c'hai ragione. Ci hanno messo in testa un sacco di idee bislacche. I valori della vita sono altri.

E' l'amico è

Tutti gli amici che non mi chiedono di allontanarmi se devono digitare il codice segreto.
No, perché ci sono alcuni amici con i quali sei sicuro di invecchiare, con i quali hai diviso ogni cosa fin da piccolo, che conservano i tuoi segreti più preziosi, e ora se passeggiate per strada e devono fermarsi davanti al bancomat, ti guardano imbarazzati mentre infilano la carta e poi ti chiedono se puoi allontanarti un attimo per favore perché debbono digitare il codice segreto. Secondo loro, io dovrei guardare il codice segreto, memorizzarlo, trafugare in qualche modo la carta del bancomat e andare subito a sottrarre 250 euro dal conto corrente (perché di più non si può)?
Loro pensano che io sia capace di fare tutto questo e si considerano miei amici?

Francesco Piccolo, Momenti di trascurabile felicità

venerdì 8 aprile 2011

Ma passa per il buio senza paura

Alcuni momenti della tua infanzia ti restano appiccicati al cuore, saranno pezzetti dell'adulto che diventerai. Funzionano così tanto i traumi, le piccole sofferenze, le grandi paure, quanto i piaceri, gli affetti, i ricordi che ti insegneranno ad amare e a stare nel mondo nel miglior modo possibile. Io c'è una cosa che ricordo con emozione: i frullati di frutta.
Ricordo il profumo del vestito azzurro della mia mamma, abbronzata e bella, mentre grattugiava la mela. Quando poi venivano i cuginetti, c'erano frullati per tutti. E mio zio, silenzioso e paziente, ci metteva il latte nei suoi frullati, e sapeva dosare gli ingredienti con una sapienza che il sapore me lo ricordo ancora adesso che lui non c'è più. Adesso che sono grande, e i frullati me li preparo da sola, continuo ad emozionarmi mentre le lame del marchingegno tritano i pezzetti di frutta e ne fanno un'unica, morbida prelibatezza. Mangiare un frullato a me fa bene al cuore.
Oggi, in farmacia, ho visto uno scaffale pieno di bottiglie paffutelle e colorate. C'era scritto: frullati. Le lettere erano tutte di colori diversi: la effe rossa, la erre gialla, la u verde..... 
Che tristezza. Non ci sono più vestiti azzurri da indossare mentre si prepara il frullato ai bambini? Io non sono migliore di quello che saranno i bambini, domani; di certo non lo sono per i frullati. Ma quando sono al lavoro, e osservo davanti a me faccine svelte e intelligenti che non sanno quasi controllarsi, e che non riconoscono nessuna autorità, io non lo so perché, ma credo che in qualche modo i frullati di frutta c'entrino.

giovedì 7 aprile 2011