martedì 1 settembre 2009

Canzone dei dodici mesi


I miei nonni erano contadini, mani forti e pelle segnata dal vento. Figli della terra, hanno comperato distese di quell'oro dopo la guerra e con paziente laboriosità ne hanno fatto il nostro regno. Smuovere le zolle, piantare i semi, irrigare, arare, aspettare. La gioia del raccolto, conquista strappata col sudore degli uomini e la tenacia delle donne all'ansia sospesa di un temporale che poteva arrivare a portarsi via tutto.
Settembre profuma di mosto, tinge il cielo di vitigni, prepara il rosso calore per l'inverno.
Settembre è custode di tesori che ti daranno vita per un intero anno. Le conserve di pomodori. Le marmellate. Mentre sugli alberi piccoli agrumi restano in silenziosa attesa di essere perle di sole da raccogliere e spremere.
Settembre nei miei ricordi è un mese ricco di promesse e allegro di condivisioni: la grande casa in fermento, come il mosto. Piena di barattoli, bottiglie, pentoloni per le conserve.
Arrivavano le zie per questo lavoro che preparava i tesori. Tre generazioni di donne pazientemente unite ad arginare lo scorrere del tempo: la nonna, sapiente regina, dettava norme, scrutava pomodori e barattoli, ci insegnava come distinguere quello che avrebbe portato buona salsa; le mamme, forti e belle, si occupavano di mille magie fra la cucina e le cantine, gesti veloci e precisi con cui continuare la tradizione creatrice della regina; per noi bimbe il compito più importante. Avvolte in grandi grembiuli di lino profumato, attente a non sporcare i capelli, sedute al bordo dei pentoloni a pelare i pomodori. Dopo aver tolto la buccia sottile, mettere tutto nelle vasche in cui i cugini, gli uomini ancora piccoli, avrebbero intinto le mani nel mare rosso per passare quelle onde di salsa alle bottiglie. I nostri padri si occupavano del fuoco: quello sul quale scaldare l'acqua che avrebbe pelato i pomodori, e quello successivo, finale, l'incantesimo che avrebbe inghiottito le bottiglie per farne conserva.
Nell'altra cantina, intanto, arcano e inaccessibile, fermentava il mosto. E quelle stanze erano proibite ai nostri giochi, potevi solo aspettare che il nonno, il re, uscisse per dare l'ordine. E altre bottiglie sarebbero partite dalle cucine pe riempirsi di un rosso non più polposo, bensì scruo, fluido e profumato.

Io sono cresciuta così.
Ho le radici piantate nella terra.
Sono abituata a seminare, aspettare, curare, aspettare, raccogliere.
Settembre è ancora questo per me.
Non sono brava a restare sospesa sopra la terra. Il tempo non è più regolare scorrere di giorni che sai quando arriveranno. Ogni giorno può portare una telefonata che ti precipiterà in un nuovo orizzonte tutto da inventare. Le stagioni hanno perso il loro sapore.
Settembre è stato trasformato dal progresso. E' diventato liquido, come la modernità. Il lavoro non unisce, non è più scandito dai ruoli familiari. Se ce l'hai, un lavoro, ne sei schiavo e per te settembre è uguale ad agosto e non sarà diverso da novembre. Se un lavoro non ce l'hai, sei precario. Flessibile. E allora le tue mani non sono più quelle operose che muovono i pelati: tu stesso sei gorgogliante come la salsa dei miei ricordi. E resti lì, a settembre. Nella vasca, in attesa di essere riposto in chissà quale bottiglia,e conservato. Ma potresti non andare bene. Se la regina della cantina decide che tu non sei adatto, ci sarà qualcuno che senza troppa premura ti sostituirà.
Io sono figlia della terra, i miei nonni mi avevano insegnato a leggere i tempi e a fare sacrifici che sarebbero stati ricompensati.
Adesso non c'è più terra, sotto i nostri piedi. Non prepariamo vino e salsa, a settembre.
Il nutrimento e il diletto.
La necessità e il piacere. Non dipendono più dal lavoro delle nostre mani.
Peccato non poter mettere al mondo dei figli e insegnare loro l'arte dell'attesa operosa.
Settembre ha un altro profumo, adesso.
Non sono sicura che sia migliore.

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